Una vita passata al servizio della Salernitana, con il granata nel cuore e una passione per il settore giovanile nel sangue. Gaetano Zeoli vanta una lunga militanza con a Bersagliera, da allenatore in seconda di Ansaloni, Burgnich, Simonelli e responsabile della cantera. Prima dei ricordi del passato, è come sempre l’emergenza sanitaria a tenere banco: "Si deve aspettare che la salute sia garantita, quella è al primo posto".
Riguardo il ritorno in campo, di che idea è?
"Si può tranquillamente rinviare tutto al periodo estivo, ad agosto si può giocare. Si programmano le partite in notturna, per evitare gli orari più caldi, rischiare adesso non è giusto per calciatori e addetti ai lavori. Anche loro hanno diritto a salvaguardare la loro salute, e in campo, tra contatti, sputi e sudore, si rischia ancora di più".
Prima della pausa, che Salernitana aveva visto?
"Una squadra accettabile, per la rosa che ha, secondo me sta andando ben oltre il dovuto. Mi piace l’impegno dei ragazzi, l’applicazione, ma sotto il profilo della qualità, tolto qualche elemento, vedo diverse lacune. Già mancando Djuric si erano viste diverse difficoltà".
Quanto può essere importante il ritorno in campo del centravanti?
"Già l’anno scorso sul finire del torneo è stato determinante, ha fatto bene anche quest’anno, non a caso era l’uomo con più gol all’attivo".
E sul settore giovanile, invece?
"Discorso un po’ particolare. Io ce l’ho nel dna, spesso quando mi chiamavano per aiutare la prima squadra, rimanevo un po’ deluso. Mi è sempre piaciuto lavorare con i giovani, dispiace che tolti gli ultimi elementi, come Falzerano e Neglia, si fatica a lanciare nuovi prospetti".
A cosa è dovuto?
"Non lo so e non voglio polemizzare, ma ai miei tempi si girava in macchina. Bastava una segnalazione per partire, la provincia è molto vasta e vinceva chi arrivava per primo, perché dopo era difficile competere con le società del Nord e con i loro budget. Neglia ad esempio sono andato a vederlo nel Potentino, così come non esitavo ad andare a Sapri, a Vallo della Lucania, cercando sempre di creare una rete con le scuole calcio".
Quale concetto si cela dietro la parola “rete”?
"Passione, vedute ampie. Ad esempio io cercavo di mettere da parte qualcosina per convincere le famiglie e le scuole calcio, per fare felici tutti. Poi invitavo le scuole calcio alle partite, partecipavamo a tutti i tornei organizzati nel circondario, si cercava di instaurare una collaborazione. E soprattutto non andavamo a rompere le uova nel paniere...".
In che senso?
"Se si va a fare scuola calcio, si privano tutte le società dei giovani, si toglie qualcosa a tutto il territorio. La Salernitana doveva formare squadre per campionati importanti, senza esordienti e pulcini. Discorso diverso se si parla di accademia, ma per fare ciò si deve partire dal basso, innanzitutto da strutture all’altezza".
È un po’ il tallone d’Achille?
"Questo era il mio pallino all’epoca, avere una struttura interamente dedicata al settore giovanile, anche Lotito in passato parlò di creare qualcosa alle spalle del Volpe, poi non se ne è fatto più niente, non so perché. Pensi quanti talenti da tutta la provincia, che è vastissima, potrebbero arrivare a Salerno, invece spesso arrivano i grandi club del Nord e se li portano via...".
Sfogliando l’album dei ricordi, cosa le viene in mente?
"L’esperienza da allenatore in seconda di Ansaloni nell’anno del ritorno in serie B, fu una festa che durò un mese, dopo 23 anni di serie C, e tanti campionati vinti sulla carta ad agosto ma persi già a gennaio. Ci chiamavano la Juventus del Sud, e non era un complimento, perché la Juve in quegli anni spendeva tantissimo e non vinceva mai".
Le è mancato il salto tra i grandi?
"Ho sempre avuto dei problemi quando dovevo lasciare la Salernitana, legati a motivi extracalcistici, ma ho l’orgoglio di aver fatto, dal 1986 al ’96, praticamente tutti i ruoli. Giovanissimi, Allievi, Primavera, Berretti, il secondo a un signorone come Tarcisio Burgnich, e sono felice di aver contribuito alla crescita di ragazzi come Fusco, Iuliano e Grassadonia".
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