Due anni da protagonista a Salerno, uno dei pochi calciatori area Lazio che è riuscito a guadagnare la stima di una tifoseria, quella granata, che non sempre è stata tenerissima con gli atleti biancocelesti transitati all'ombra dell'Arechi. Ai microfoni di TuttoSalernitana, il doppio ex Ettore Mendicino ha parlato di passato, presente e futuro ripercorrendo le fasi salienti di un'avventura indimenticabile ma chiusa con una mancata riconferma che seppe di beffa.
Anzitutto la domanda più scontata: per chi tiferai domenica prossima?
"Alla Lazio devo tutto. Lì sono cresciuto tanto, come uomo e come calciatore. Ho mosso i miei primi passi nel professionismo dopo un lungo percorso nel settore giovanile. Però sono legatissimo alla Salernitana e spero possa vincere all'Olimpico. A Salerno mi sono sentito benissimo, la piazza è straordinariamente passionale e ti mette in condizione di sentirti importante. Ho vinto una coppa Italia e un campionato di serie C, sono sensazioni che non si possono dimenticare. Auguro davvero al pubblico e alla società di mantenere la categoria e di festeggiare il conseguimento della salvezza. Il pronostico sembra scontato, ma il calcio insegna che si parte 0-0 e può sempre accadere di tutto. Anche contro il Napoli il risultato è stato bugiardo, i granata avrebbero meritato quantomeno il pareggio".
Eppure la colonia laziale non era accolta benissimo a Salerno...
"E' vero, c'era un po' di diffidenza. Per noi, invece, era una grossa opportunità per esprimere il nostro valore in una piazza di categoria superiore. Il presidente Lotito mi propose di firmare con la Salernitana già all'epoca della C2, ma inizialmente rifiutai. Non mi piace essere ipocrita: ero reduce da alcune stagioni positive in cadetteria, il doppio salto all'indietro poteva rappresentare un ostacolo per la mia carriera. In C1 fu diverso. Il progetto era ambizioso, c'era voglia di vincere e la curva Sud era sempre piena. Ci trascinava, dall'inizio alla fine. Sembrava quasi di giocare in serie A. Avvertivamo lo scetticismo di parte del pubblico, ma nessuno di noi si fece condizionare da malumori e dicerie. Alla lunga è nato un rapporto straordinario con la gente, ancora oggi ho tanti amici lì e, quando posso, torno molto volentieri".
Ora, però, Lotito si è affidato ad un trust per risolvere la querelle multiproprietà. Tutte queste scadenze possono incidere sul rendimento di un calciatore?
"Un po' sì, ma in campo dimentichi tutto. In alcune piazze mi capitava di non percepire lo stipendio, c'erano problemi di ogni genere e le società rischiavano il fallimento. Tuttavia, quando l'arbitro fischiava l'inizio della partita, nessuno tirava indietro la gamba e tutti davano il 110%. Stiamo parlando di professionisti che militano nel campionato di serie A e che giocano per una tifoseria straordinaria. Sono certo che il loro unico pensiero è vincere le partite e tirare fuori la Salernitana dalle sabbie mobili della classifica".
Angolo amarcord: quali sono i tuoi ricordi più belli?
"Mi chiedono spesso a quale gol io sia più affezionato. Potrei dire il rigore contro il Benevento, quando in porta c'era un attaccante. In realtà non c'è un momento specifico che prevale sugli altri, la maglia granata era un onore a prescindere. Non sono mai stato un bomber, ma ammetto di aver segnato gol belli e quasi sempre decisivi. La rete del 3-1 contro il Barletta il 25 aprile davanti a 25mila spettatori, con la successiva festa promozione, è un qualcosa di incancellabile nella mente e nel cuore. Fu un'annata particolare, contraddistinta dal mio grave infortunio a Matera. La gente mi sostenne come fossi uno di famiglia, sono guarito e sono rientrato in campo anche grazie a loro".
Come mai non sei stato riconfermato?
"Non penso sia stata una scelta del direttore sportivo Fabiani, tuttora abbiamo ottimi rapporti. Probabilmente la società pensava che gli infortuni pregressi potessero incidere sul mio rendimento. Forse anche mister Torrente aveva idee di gioco che non si sposavano in pieno con le mie caratteristiche. Non nego che fu un grosso dispiacere, è come se fossi sceso dal treno proprio nel momento più bello del viaggio. Ci rimasi male, ma il calcio è questo e bisogna accettare".
Che idea ti sei fatto della Salernitana attuale e come mai Simy incontra difficoltà?
"E' vero, balza all'occhio che un calciatore reduce da 40 gol in due anni faccia fatica a trovare continuità. Magari a Crotone era assistito da gente che giocava per lui e lo metteva in condizione di segnare. Un attaccante va valutato per come sfrutta le palle gol a disposizione, se una squadra crea poco è normale che Simy sia il primo a risentirne. La Salernitana ha preso un giocatore forte, ma le sue reti mancano ed è necessario ritrovare la strada giusta. Il reparto offensivo, preso singolarmente, è interessante ma nè lui, nè Djuric, nè Gondo hanno la classica giocata di classe che può risolvere una partita: nessuno di loro salta l'uomo e mette il pallone all'incrocio dei pali da 25 metri. C'è anche Bonazzoli, ma pecca in continuità".
La Salernitana può salvarsi?
"Secondo me sì, ha raccolto meno di quanto meritasse. Contro big del calibro di Atalanta e Napoli ha disputato ottime partite, poi è chiaro che la giocata del singolo fa la differenza e che, se non la sblocchi, rischi di essere punito alla prima occasione. In rosa c'è un giocatore come Ribery che darà una grossa mano, poi c'è il pubblico dell'Arechi che può essere il dodicesimo uomo".
Che ci fa Mendicino in serie D?
"E' andata così, ormai sono considerato vecchietto e si fa fatica a trovare una squadra. San Benedetto, comunque, è una piazza importante e c'è grande voglia di tornare tra i professionisti. Speriamo di toglierci qualche bella soddisfazione e di mettere da parte un avvio in sordina, frutto di una partenza tardiva rispetto a tutte le altre".
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