Manca una giornata alla fine della Serie A 2021/2022, la Salernitana la giocherà in casa contro l’Udinese, è al 17esimo posto con trentuno punti, due sopra il Cagliari che in questo momento retrocederebbe in Serie B assieme a Genoa e Venezia. Già in questo riepilogo della situazione sta la straordinarietà – sarebbe più corretto dire l’assurdità – della stagione granata. Sono andato a rileggere gli articoli pubblicati su siti e giornali all’inizio della stagione. Sono andato a rileggere gli articoli pubblicati su siti e giornali prima dell’inizio della stagione. E mi è tornato in mente il titolo del primo romanzo di Paolo Sorrentino: Hanno tutti ragione. “Hanno” e non “avevano”, perché quelle previsioni restano valide, sensate, ragionate anche adesso. Ed è soprattutto in questa consapevolezza che sta la straordinarietà – sarebbe più corretto dire l’assurdità – della stagione della Salernitana. Che forse, chissà, magari (facciamo sia gli scongiuri che gli auguri, per tenere contenti sia gli scaramantici che i razionali) finirà la Serie A 2021/2022 con una salvezza che a definirla difficile non le si rende giustizia.
La parola che tutti quanti stiamo cercando da che la Salernitana ha cominciato la sua rimonta forse non esiste ancora nel dizionario del pallone. Quanti altri casi ci sono, nella storia della Serie A, nella storia dei cinque maggiori campionati europei, nella storia del calcio continentale e mondiale, di una squadra che forse, chissà, magari si salverà dopo aver vissuto tutto quello che ha vissuto la Salernitana in questa stagione? La lingua è un codice e i codici sono consuetudine: quello che è successo alla Salernitana da agosto a oggi non è consuetudine e quindi nella lingua manca la parola per definirlo. Se la promozione era stata una (mezza) sorpresa, all’inizio di questa stagione la retrocessione era data (quasi) per scontata. Ma essendo la Salernitana 2021/2022 quanto di più lontano dalla consuetudine, la consapevolezza di avere il destino (probabilmente) segnato non era nemmeno il pensiero peggiore nella testa dei tifosi granata. Arrivarci, a retrocedere, avranno pensato molti di loro in quelle settimane di dicembre in cui l’Arechi era terra di conquista. L’Inter arrivava, vedeva e vinceva 5-0, ma allo stadio gli striscioni parlavano di altro: «Liberate la Salernitana», «Dilettanti, promozione o nei campi di periferia, la Salernitana non ha categoria», si leggeva ai lati del campo. Messaggi indirizzati alla Figc, a Claudio Lotito che usciva, a chiunque sarebbe entrato. L’imbarazzo della multiproprietà che poi era l’imbarazzo delle cose fatte come al solito qui da noi: di proroga in proroga, di trust in trust. Sui social, prima della partita con la Lazio, cominciano a girare meme di Lotito con due cellulari, uno attaccato a un orecchio e uno all’altro: è il presidente della Lazio che fa una telefonata di cortesia a quello della Salernitana prima della partita. O forse quello della Salernitana che telefona a quello della Lazio. Non si capisce ma tanto è lo stesso.
E quindi i trust, le scadenze, il serio rischio di essere gli esclusi e non i retrocessi, il sollievo di una transazione andata a buon fine che riscatta finalmente una squadra, una città che rischiavano di diventare zimbelli da almanacco. Danilo Iervolino arriva e sembra Urbano Cairo quando Urbano Cairo voleva sembrare Silvio Berlusconi: compra una squadra di calcio e subito dopo compra anche L’Espresso, e chissà, magari, forse, d’altronde è così che in Italia cominciano i miti e le leggende. Innanzitutto servono imprese calcistiche di cui vantarsi e un giornale a darti ragione. «Questa squadra diventerà un modello, un laboratorio di cui tra qualche anno ci saranno delle copie», dice il nuovo presidente. A quel punto poco importa a Salerno che Lotito sia il protagonista di un servizio di Report in cui dice che lui non ha venduto proprio niente e che la Salernitana vale almeno sessanta milioni, altro che dieci. Tempi passati, problemi di altri, ormai. Certo, resta la questione del campo, ma lì c’è poco da fare: al momento del passaggio di proprietà, la classifica dice 13 punti raccolti in 23 partite giocate.
D’altronde, si era capito dall’inizio come sarebbe andata, da questo punto di vista: Ribery era un regalo per i collezionisti e i reseller di football jerseys, Simy si sperava confermasse di essere quello di Crotone ma sono bastate poche settimane sotto la novecentesca guida di Castori per trasformarlo in Jeremy Mbakogu del Carpi, altro diamante sgrezzato dal maestro di San Severino Marche. Togliere Castori e mettere Colantuono non serve a granché se non a fare della Salernitana la protagonista di un’altra barzelletta: prima di tornare in panchina Colantuono era dirigente alla Sambenedettese, squadra sulla quale Lotito pare eserciti una certa influenza. «Ma è vero che Lotito stava dietro la Samb, per questo si giustifica il ritorno di Colantuono? Poesie», commenta Angelo Mariano Fabiani, direttore sportivo della Salernitana fino a quando Iervolino non ha deciso di affidarsi a Walter Sabatini. "I latini facevano una distinzioni tra dicunt e dicitur, quest’ultimo è un verbo impersonale. I consigli sono tanti, soldi zero: quelli si dispensano a tutti", chiosa Lotito sulla questione Sambenedettese. E come al solito non si capisce nulla, ma a Salerno ormai non importa più niente a nessuno: Iervolino ha sostituito Lotito, Sabatini ha preso il posto di Fabiani, Nicola si è seduto al posto di Colantuono e il mercato di riparazione ha portato quattordici nuovi giocatori, perché a questo punto che differenza potrà mai fare, che rischio ci sarà mai da correre. Certo che cinque milioni per un tale Ederson del Corinthians sono tanti, ma si sa che con Sabatini funziona così. Arriva pure Emil Bohinen, un norvegese che stava a Mosca, nel Cska, che forse gioca una seconda metà di stagione strabiliante solo per la gratitudine di avergli evitato di spiegare ai russi la decisione della Norvegia di appoggiare l’ingresso della Svezia e della Finlandia nella Nato.
Poi succede qualcosa, una cosa talmente insolita che non esiste una parola nel dizionario del calcio che la identifichi e definisca. Nicola arriva, e tutti sanno che quanto successo a Crotone, a Genova e a Torino non si ripeterà: non c’è due senza tre, poi però basta. Nicola però non lo sa e fa la cosa che oramai gli riesce meglio: si affida ai santi, dice che se la Salernitana si salverà lui andrà a piedi fino a Roma per andare a ringraziare il Padre Eterno per l’interposta persona del Santo Padre. Si affida ai santi ma pure ai fanti, in realtà: durante la partita contro la Fiorentina si incazza al punto di togliersi una scarpa e minacciare di lanciarla in testa a un suo giocatore.
Viene in mente Ferguson in un leggendario intervallo all’Old Trafford, resta da capire chi Nicola avesse intenzione di battezzare come suo Beckham con scarpate e punti di sutura sul sopracciglio. Forse voleva colpire Federico Fazio, che la Roma ha tenuto fuori rosa per una vita, che quando è arrivato a Salerno sembrava non giocasse a calcio da quattro, cinque, sei vite, e che oggi guida un reparto a tre completato da Radovanovic e Gyömbér, e non c’è molto altro da aggiungere; forse voleva prendere in pieno Mazzocchi o Zortea, esterni a tutta fascia forse improbabili, certamente infaticabili; forse voleva colpire Simone Verdi, che per un certo periodo ha giocato da dio e poi si è perso, al punto che in poco più di due anni è stato degradato dalla Champions League – con il Napoli – alla panchina del Torino e poi a un prestito a Salerno, tutto apparentemente senza senso; di certo non voleva colpire Djuric, perché come si fa a voler colpire Djuric? E altrettanto certamente non voleva colpire Diego Perotti, che in quel momento era in panchina. Lo stesso Diego Perotti che non giocava a calcio dai tempi di Fazio, pure lui, che è arrivato a Salerno e ha giocato una sola volta da titolare. Lo stesso Perotti che avrebbe potuto segnare il rigore della salvezza a Empoli e invece Vicario gliel’ha preso. Forse perché la storia assurda deve proseguire, deve diventare ancora più assurda. Altrimenti non sarebbe la Salernitana.
In ogni caso, quella scarpa di Nicola non è mai partita. E a un certo punto tutto è cominciato a funzionare davvero, ad andare bene sul serio. La Salernitana sembra liberata come la si voleva in quello striscione di dicembre: lo stadio è sempre pieno, Bonazzoli va in doppia cifra, arrivano i punti negli scontri diretti, le vittorie a Genova con la Samp e in casa con la Fiorentina, il pareggio con l’Atalanta. È un attimo e i granata sono fuori dalla zona retrocessione, a una giornata da una salvezza che, chissà, magari, forse diventerà una delle storie più incredibili mai raccontate dalla Serie A.
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