C’era una volta una Salernitana che non si accontentava di partecipare. Una squadra che entrava in campo con lo sguardo fiero e il cuore pieno d’orgoglio, capace di far tremare chiunque le si parasse davanti. Non parlo di quella smarrita Cenerentola vista negli ultimi anni dell’era Iervolino, costretta a vivere col fiato corto e gli occhi sempre rivolti al fondo della classifica. No, io parlo di un’altra Salernitana. Una squadra ruggente, impavida, che giocava a calcio come se ogni partita fosse l’ultima occasione per entrare nella leggenda e la cui storia merita di essere ricordata e raccontata ai tifosi più giovani.

Ero lì, sugli spalti da tifoso innamorato insieme a mio fratello e agli amici, a vivere ogni istante di quell’epopea come fosse un pezzo della nostra stessa vita. Era la Salernitana di Delio Rossi, un prodigio sportivo che, tra la fine degli anni ’90 e l’alba del nuovo millennio, seppe riscrivere con l’inchiostro della passione alcune delle pagine più romantiche e indimenticabili della storia del calcio italiano.

Il Sogno inizia in Serie C

Delio Rossi arrivò nell'estate del 1993 alla guida della Salernitana in Serie C1, la squadra si classificò terza nella regular season e ottenne la promozione in Serie B vincendo i play-off. Tornò nella stagione 1997-1998, per guidare la squadra di Serie B e fu accolto da 5.000 tifosi festanti al Vestuti, che non lo avevano mai dimenticato. Salerno aveva fame di calcio vero, di emozioni autentiche. E Rossi, tecnico visionario con il pallino del bel gioco, portò in dote una filosofia rivoluzionaria: non bastava vincere, bisognava incantare, tanto da meritarsi il soprannome di “il profeta”.

Quella Salernitana non si limitava a giocare, ballava sul terreno di gioco. Un calcio fatto di pressing alto, ripartenze fulminee e una tecnica individuale che lasciava attoniti gli avversari di categoria. I granata non si nascondevano dietro tattiche difensive o catenacci: attaccavano a viso aperto, con la sfrontatezza di chi non ha nulla da perdere e tutto da dimostrare.

La promozione in Serie B arrivò come una liberazione collettiva. L'Arechi esplose in una festa che sembrava non dovesse mai finire, mentre la squadra di Rossi aveva già messo nel mirino l'obiettivo successivo. Perché quando hai fame di calcio vero, un traguardo raggiunto diventa immediatamente il punto di partenza per la sfida successiva.

La cavalcata in Serie B: Calcio Champagne nel Mezzogiorno

In Serie B la Salernitana non si limitò a galleggiare: dominò con una superiorità tecnica e tattica che fece scuola. Era il calcio champagne del Sud, una sinfonia di passaggi e movimenti che trasformava ogni partita in uno spettacolo. Rossi aveva costruito una macchina perfetta, dove ogni ingranaggio funzionava in simbiosi con gli altri.

Gli uomini chiave di quella squadra leggendaria erano autentici fenomeni del pallone. Marco Di Vaio, bomber prolifico e intelligente, sapeva trasformare in oro ogni pallone che gli capitava sui piedi. La sua capacità di finalizzare era pari solo al suo istinto nel trovarsi sempre nel posto giusto al momento giusto. Edoardo Artistico e Ciro De Cesare, importanti spalle di Di Vaio, e autori di gol pesanti, sostituiti (troppo frettolosamente) in A da David Di Michele. Gennaro Gattuso, il leone di Corigliano, rappresentava l'anima combattiva della squadra: grinta, determinazione e una leadership naturale che trascinava i compagni nei momenti difficili. Roberto Breda: capitano e leader carismatico, fondamentale sia in B sia in A.

Ma c'erano anche i fratelli  Giovanni e Giacomo Tedesco centrocampisti raffinati e capace di dirigere l'orchestra granata con tocchi di classe sopraffina. Salvatore Fresi: pilastro difensivo dal piede educato, simbolo di una retroguardia che con Vittorio Tosto e Luca Fusco sapeva impostare il gioco senza mai perdere solidità. Ogni elemento di quella Salernitana, mi perdonino quelli altrettanto meritevoli che non ho citato, aveva qualcosa di speciale, un talento cristallino che Rossi riusciva a esaltare nel sistema di gioco. Era un’autentica e talentuosa squadra nazionale italiana Under 21 e per questo faceva gola a tutte le big della serie A. All’ex presidente Aniello Aliberti roderà ancora il fegato ricordare come quella squadra fu poi defraudata di tutti suoi talenti a costo zero. Ma questa è un’altra storia che merita di essere raccontata a parte.

L'approdo in Serie A: David contro Golia

Quando la Salernitana conquistò la Serie A, l'Italia del calcio rimase a bocca aperta. Non era solo la promozione di una provinciale, era l'ingresso nel salotto buono di una squadra che prometteva di non fare da comparsa. E infatti, i granata mantennero la promessa con gli interessi.

Nell'anno della massima serie, la Salernitana di Rossi dimostrò che il bel gioco non conosce blasone. Contro Juventus, Milan, Inter e Roma, i campani scendevano in campo senza reverenza, con la stessa arroganza calcistica che li aveva portati dalle serie minori al palcoscenico più prestigioso. Non c'era timore, solo la voglia di dimostrare che il talento può superare qualsiasi gap economico.

Le partite dell'Arechi diventarono appuntamenti imperdibili per gli appassionati di calcio vero. La squadra granata giocava un calcio moderno, aggressivo, che anticipava di anni le tendenze tattiche del futuro. Il pressing ultra-offensivo, le ripartenze verticali, il palleggio rapido e preciso: tutto quello che oggi chiamiamo calcio totale, Rossi lo aveva già inventato tra le colline salernitane.

Il Dramma: una retrocessione che puzzava di ingiustizia

Ma il calcio, si sa, non è sempre giusto. Non bastarono le prestazioni maiuscole contro le big, non servì aver dimostrato di meritare la categoria: i granata furono condannati da una classifica che non rendeva giustizia al valore tecnico espresso sul campo. Come dimenticare l’ultima giornata quando si giocò in trasferta contro il Piacenza. La gara terminò con il risultato di 1-1: la Salernitana aveva bisogno di una vittoria per sperare nella salvezza e la squadra retrocesse per un solo punto di distacco dal Perugia, che perse contro il Milan. La concomitante partita al S.Siro cominciò con 15 minuti di ritardo rispetto a quella di Piacenza per dei fumogeni lanciati furbescamente in campo, e così il risultato della partita cambiò a favore del Milan solo una volta accertato che la Salernitana non aveva vinto.  Ancora oggi ci domandiamo perché quel Piacenza, nonostante fosse già salvo, giocò quella partita con tanto furore agonistico, degno di una finale di Champions. I tifosi granata l'attribuirono alla scaltrezza di Luciano Gaucci, e la retrocessione arrivò perciò come una pugnalata al cuore per una tifoseria che aveva imparato a sognare in grande. Sul treno del ritorno da Roma, dopo l'ultima partita della stagione, i tifosi granata vissero momenti di tensione e rabbia che sfociarono in gravi incidenti. Non era solo delusione sportiva, era la percezione netta di un'ingiustizia consumata ai danni di chi aveva creduto nel miracolo del calcio pulito.

Quelle scene sul convoglio ferroviario rimasero impresse nella memoria collettiva: tifosi in lacrime, altri furiosi per una retrocessione che sembrava scritta nei palazzi del potere piuttosto che sul campo. La Salernitana aveva dimostrato di poter competere alla pari con chiunque, ma il sistema calcio aveva altre logiche, altri equilibri da rispettare.

L'Eredità di un'epopea irripetibile

Oggi, osservando la Salernitana - sempre in bilico tra salvezza e retrocessione, spesso vittima delle proprie paure più che degli avversari - è inevitabile provare nostalgia per quegli anni ruggenti. La squadra di Rossi aveva saputo trasformare Salerno nella capitale del bel gioco, dimostrando che con la giusta mentalità anche le realtà più piccole possono competere con i giganti.

Quella Salernitana rappresentava la possibilità di emergere attraverso il merito, il talento e la voglia di non arrendersi mai. Era la dimostrazione vivente che nel calcio l'audacia può vincere sulla prudenza, la creatività sulla mediocrità.

L'epopea granata di Delio Rossi rimane una delle pagine più belle del calcio italiano moderno. Una storia che profuma di sogni realizzati e ingiustizie subite, di talenti puri e passioni autentiche. Un'eredità che nessuna classifica potrà mai cancellare e che continua a vivere nel cuore di chi crede ancora nel calcio come spettacolo dell'anima.

Sezione: Primo Piano / Data: Lun 30 giugno 2025 alle 17:00
Autore: Giovanni Santaniello
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