Grande protagonista della partita vinta nel 1999 contro la Juventus, Alessandro Del Grosso è stato gradito ospite della trasmissione SeiGranata in onda ogni martedì su SeiTv. Ecco uno stralcio delle sue dichiarazioni:
Sta sicuramente seguendo la Salernitana, che idea si è fatto?
"Naturalmente la questione societaria ha la sua incidenza. Un calciatore, in campo, pensa esclusivamente alla partita e fa di tutto per vincerla. Ma una rappresentanza istituzionale serve. Parliamoci chiaro: la vicenda dell'iscrizione tardiva ha inciso, in chiave mercato dovevi rivolgerti prima alle banche, poi all'amministratore e poi ancora a dirigenti e procuratori. Per un club che torna in A dopo 22 anni non è mica semplice agire in questo modo?! Molti elementi sono arrivati in prestito, altri sono stranieri che hanno bisogno di tempo, altri ancora erano ottimi giocatori in B, ma oggi faticano e non si sono dimostrati altamente competitivi per la categoria. In massima serie non ti aspettano, se le dirette concorrenti scappano c'è poco da fare. La sconfitta con la Sampdoria ha certamente acuito questa piccola crisi, le preoccupazioni sono comprensibili perchè ora il calendario propone sfide complicatissime".
Voi come batteste la Juventus?
"Altri tempi, altri uomini, altra Salernitana. Ce la giocavamo con il sangue agli occhi, anche a cospetto di realtà che proponevano i migliori giocatori d'Europa. Ci identificavamo con la nostra tifoseria: a noi chiedevano coraggio, maglia sudata e cattiveria agonistica, poi non interessava il risultato finale. A Torino perdemmo 3-0, ma in casa non passava quasi nessuno. A cospetto di 40mila persone era dura anche per Inzaghi e Zidane. Fu una sfida entusiasmante, nello spogliatoio parlavamo tra di noi e snocciolavamo i nomi dei nostri avversari. C'era voglia di stupire e di sovrastarli, non paura di essere inferiori. Ce la facemmo. Chissà non possa accadere anche stasera".
Come diceva lei...altri tempi. Quanto sarebbe bello avere ora tra i dirigenti anche qualcuno di quella Salernitana...
"Sarebbe determinante. Chi è retrocesso quell'anno, subendo decisioni scritte a tavolino, oggi trasmetterebbe quel senso di rabbia e di rivincita. Non dico oltre perchè rischierei e non voglio riaprire vecchie ferite, ma ci metto la faccia e non ho paura: quella serie B fu stabilita in altre sedi, quella Salernitana non poteva retrocedere. Già l'anno scorso, nei confronti di qualuno che ci volle male, ci siamo presi una grande rivincita. Il calcio, come nella vita, restituisce tutto a tutti. E salvarsi ci consentirebbe, a distanza di 22 anni, di curare meglio una ferita che sanguina ancora".
Manca un leader a questa Salernitana?
"Ho notato anche io una cosa del genere. Si prende gol e si abbassa la testa, Candreva ci mette dieci minuti per battere un calcio d'angolo e nessuno s'arrabbia: con me finivi fuori dall'Arechi! Forse i calciatori non si sono ancora resi bene conto che giocano a Salerno e per la Salernitana. Si deve necessariamente ricreare quel clima che faceva la differenza, senza senso di identità non vai da nessuna parte. Se uno non si impegnava lo attaccavamo al muro nello spogliatoio, avviene la stessa cosa oggi? La maglia ha una grande storia, va onorata e rispettata. Non parlo da demagogo, ma da tifosissimo acquisito della Salernitana".
E' cambiato anche il tifo?
"Sotto l'aspetto della passione no, il pubblico è sempre il dodicesimo uomo in campo e fa la differenza. E' componente imprescindibile. Ma va coinvolto, incentivato. Ogni giorno. Basta porte chiuse, basta prezzi alti, basta isolarsi: se sei un corpo unico con la tua gente hai possibilità di salvarti, altrimenti è durissima. Anche perchè non è più come una volta, quando nei periodi bui era impossibile uscire di casa. Negli anni c'è stato un ulteriore salto di maturità".
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