Nel fantastico mondo di “Lotirchio” c’è un centravanti comprato a prezzo di saldo dopo un paio di esperienze fallimentari in Europa e ora diventato titolare della nazionale e bomber più prolifico d’Europa. Un numero 10 arrivato quasi come oggetto misterioso, che adesso pennella assist da poeta del pallone. Un gigante serbo che vale 100 milioni (almeno per il suo presidente, che senza quella cifra lo tiene prigioniero nel castello). Una pletora di carneadi pescati in giro per il mondo e trasformati in calciatori veri (chi più, chi meno). Un direttore sportivo con il profilo da bodyguard che evidentemente capisce di calcio più di tanti dirigenti dall’abito impeccabile. Un allenatore tappabuchi, che doveva essere spedito in Serie B a farsi le ossa nella squadra satellite e si è scoperto uno dei tecnici più preparati del campionato. Sembra una favola pallonara un po’ bislacca, invece è tutto vero: oggi la Lazio di Lotito è una delle realtà più belle del calcio italiano, è terza in classifica. In questo momento in Serie A c’è poco di meglio dei biancocelesti. Divertenti, spettacolari, vincenti: il successo per 3-1 contro la Juventus può essere la consacrazione definitiva di un gruppo che da tempo fa grandi cose con continuità. Due finali di Coppa Italia in tre anni, una vinta lo scorso maggio, la qualificazione in Champions sfiorata nel 2018, quasi 70 punti di media a campionato. Se un difetto si poteva trovare, mancava giusto il successo contro una big, visto che la squadra di Inzaghi è stata spesso grande con le piccole e piccola con le grandi. Sabato sera è arrivato pure quello: la Lazio ha battuto i campioni d’Italia giocando da campioni, rimontando lo svantaggio iniziale, mettendo intensità e qualità, segnando meritatamente tre reti ai bianconeri. Nella prestazione dell’Olimpico, nel terzo posto in solitaria non c’è nulla di casuale. O meglio: a vedere i presupposti elencati in precedenza sembra un autentico miracolo. In realtà Claudio Lotito è riuscito a costruire una società forte, economicamente solida, competitiva sul campo, in grado di lottare stabilmente per l’Europa e vincere persino qualche trofeo. Lo ha fatto a suo modo, senza mai fare il passo più lungo della gamba, senza mai rimetterci, ma anche questo non è un difetto. Se si guarda la bacheca, i bilanci della società (che è anche quotata in Borsa), i risultati raggiunti dentro e fuori dal campo, Lotito può essere considerato uno dei migliori presidenti della Serie A.
Con una postilla, però: del suo livello. Lotito non ha la storia degli Agnelli, non ha la potenza economica di Suning e nemmeno la “brillantezza” di Aurelio De Laurentiis. Lui ha fatto fortuna con un paio di imprese di pulizia e ha portato il suo spirito imprenditoriale nel pallone. In questo non c’è niente di male. Quando però con i suoi modi abbastanza controversi e le sue indiscusse capacità è riuscito a portare in alto la Lazio, il suo estremo pragmatismo (qualcuno lo chiama proprio tirchieria) l’ha pure riportata in basso. Da anni, ad esempio, la Lazio colleziona brutte figure in Europa League perché non ha riserve adeguate e non riesce a sostenere il doppio impegno. Nel 2007 il grande acquisto per la Champions, l’ultima giocata dai biancocelesti, fu lo svincolato Vignaroli, entrato suo malgrado nell’immaginario collettivo dei tifosi come simbolo della spilorceria del presidente. Nel 2015 si è presentato ai preliminari di Champions con la rosa incompleta e ha mancato la qualificazione. Comunque ogni estate o vende i pezzi pregiati e reinveste, o tiene i migliori e non compra nessuno, mai entrambe le cose. È come se ogni volta che si presenta l’occasione del salto di qualità definitivo, la sua indole gli impedisca di farlo. Adesso si ritrova fra le mani un giocattolo (quasi) perfetto e la Lazio a 5 punti dalla vetta. Qualcuno nella Capitale arrischia persino la parola scudetto. Difficile, per non dire impossibile. Ma questa potrebbe essere la volta buona per tornare nell’Europa che conta, e con i milioni che garantisce la Champions costruire, senza fare follie, una squadra in grado di vincere qualcosa d’importante. In fondo a questa Lazio non manca molto per essere davvero grande. Forse giusto il presidente.
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