C'è un momento nella vita di ogni società di calcio in cui il destino bussa alla porta con un'opportunità irripetibile. Per la Salernitana quel momento è arrivato nel 2021, quando con dieci milioni di euro l’imprenditore Danilo Iervolino si è seduto al tavolo della Serie A, rilevando non solo una squadra di calcio da Claudio Lotito, ma il sogno di un'intera città che aveva aspettato 23 anni per rivedere il massimo campionato.

Oggi, a distanza di tre anni, quella che doveva essere una favola moderna si è trasformata in un incubo a doppia caduta: dall’Olimpo della A all’inferno della C. Dall’Olimpico di Roma al Capozza di Casarano, passando per una Serie B che è durata una stagione.

Il caso Salernitana dovrebbe diventare materia di studio nelle business school che si occupano di sport. Come si può trasformare un investimento apparentemente vincente in un disastro sportivo? Come si può, pur avendo tutto, perdere tutto?

La risposta è semplice. Il calcio ha le sue regole, i suoi tempi, le sue dinamiche. Chi non le conosce paga. E in questo caso a pagare è stata un'intera città. E mentre Salerno piange, ma non si piega, i numeri parlano una lingua spietata dove i conti non tornano. Il patron Iervolino ha dichiarato di aver investito 100 milioni di euro nella Salernitana. Una cifra impressionante. Anche se facendo due conti, se non abbiamo sbagliato a leggere i bilanci, solo dai diritti televisivi DAZN, la società granata ha incassato oltre 90 milioni di euro nel triennio di Serie A. Cifra a cui vanno aggiunti sponsor, merchandising, botteghino, i contributi della Lega Calcio e le cessioni milionarie: da Dia a Coulibaly, da Mazzocchi a Tchaouna, da Pirola a Bradaric e cosi via.

L'investimento della società diventa così un tantino meno eroico. Anche se il vero problema non è mai stato economico, ma gestionale. Una società che in tre anni di A ha cambiato allenatori come si cambiano le scarpe (nove tecnici) e che affronta ogni mercato come se fosse il primo della propria storia, non può pretendere stabilità.

La Salernitana aveva tutto per diventare una solida realtà di Serie A: una piazza calorosa e risorse economiche adeguate. Invece sono arrivate due retrocessioni consecutive. La prima, dalla Serie A, per uno spogliatoio andato in frantumi già in ritiro precampionato. La seconda, imperdonabile, dalla B alla C, con altri quattro cambi in panchina (13 allenatori in 4 campionati). Il marchio di una società che si è smarrita.

Certo, sono passate, inosservate sui media, le alchimie della Lega di Serie B e del presidente Gravina che ha incredibilmente sospeso i play-out ammettendo una Sampdoria, già retrocessa, dai conti in profondo rosso. Così come si è taciuto delle discutibili decisioni arbitrali e della sala VAR che hanno inciso e deciso sul play-out di ritorno.

Oggi non c’è più il calcio romantico dei presidenti come Anconetani, Rozzi, Viola, Sensi che respiravano l’aria dei propri tifosi. Domina il calcio delle plusvalenze e degli algoritmi. Un calcio che nuota nell'oro, ma è più povero di magia. Salerno ha imparato, sulla propria pelle, che i soldi non bastano. Che le ambizioni, senza progetto, sono castelli di sabbia. Ma domani è un altro giorno. Il cavalluccio marino che batte sulla maglia granata non conosce la resa. Salerno saprà rialzarsi? È nel suo dna.

Sezione: News / Data: Ven 27 giugno 2025 alle 13:50 / Fonte: Giancarmine Vicinanza/Avvenire
Autore: TS Redazione
vedi letture
Print