C'era una volta il tremendismo granata, mirabolante espressione coniata dal poeta Arpino per dare una definizione al modo di giocare del Torino, come se lo stesso assurgesse a qualcosa di scolpito nel suo DNA. Dai primi anni settanta la capacità di assumere in campo un atteggiamento fiero e battagliero, di non darsi mai per vinti esprimendo una rabbia leale e soprattutto l'esaltarsi al cospetto di avversari di caratura nettamente superiore giunsero a rendere storica e tramandabile la "Garra" del Toro. C'era, però, una volta anche la definizione di Salernitana Bersagliera che, dai primi anni ottanta, graficamente rappresentata da un meraviglioso striscione di 45 metri in curva sud al Vestuti, incarna l'animus pugnandi e mai domo dei granata del sud, quelli di Salerno.
Per una sera la Salernitana è tornata ad interpretare se stessa tirando fuori dal cilindro una prestazione gagliarda e vicina alla perfezione contro la corazzata bianconera. Per una sera la Juventus avrà avuto la sensazione di trovarsi di fronte il Torino dei tempi d'oro, in un revival di un derby infuocato e combattuto fino all'ultimo secondo del tempo di recupero. Un cuore immenso da parte del cavalluccio marino, venuto fuori soprattutto dopo essere rimasti in dieci uomini e ancora più dopo essere stati raggiunti da Iling Junior. Sull'1-1 la Salernitana ha provato a tirare fuori la testa dal guscio andando in ripartenza ad insidiare più volte la porta di Sczesny e, in taluni frangenti, addirittura uscendo a pressare alti la retroguardia ospite per riconquistare la sfera persa.
Non solo cuore, dunque, per gli uomini di Inzaghi, ma anche tanta corsa e sacrificio per una condizione fisica in miglioramento costante e una buona dose di organizzazione tattica in fase difensiva, dove per larghi tratti del match i campani sono riusciti a chiudere tutte le linee di passaggio alla Vecchia Signora. I granata del sud hanno rievocato i più titolari granata del nord, quelli con il toro sullo stemma societario, rendendosi anche protagonisti di belle trame offensive, laddove sfruttando le combinazioni sulle fasce Bradaric, Candreva, Tchaouna e Sambia mettevano i brividi ad Allegri rendendosi molto pericolosi. La Juventus non ha dimostrato per tutta la prima frazione di possedere la qualità sugli esterni per vivacizzare la manovra e creare pericoli e la mediana centrale non ha palesato doti di inserimento importanti in grado di sparigliare le carte dell'attenta linea difensiva locale.
I cambi di Allegri, che ha ben altra panchina cui attingere rispetto al collega Inzaghi, hanno migliorato gli sbocchi sulle corsie esterne, soprattutto con Iling Junior per un impalpabile Kostic, ma senza il cartellino rosso di Maggiore, difficilmente la Juventus l'avrebbe ribaltata. Il gioco bianconero ha latitato per tutta la durata dell'incontro e il ritmo mai è stato davvero incrementato, con il solo Rabiot uomo capace di strappare e saltare l'uomo e con punte statiche e poco tecniche, una volta uscito il giovane Yldiz. La riposizionata linea difensiva a cinque della Bersagliera, con la prima linea Maginot dei tre mediani e del centravanti in ripiegamento costante a rincorrere gli juventini, hanno fatto dannare a lungo Madama nella ricerca di spazi per andare dentro e per trovare l'imbucata vincente. I bianconeri l'hanno vinta con il solito spirito e con la solita tenacia di crederci fino alla fine, trovando l'ennesima vittoria pesante ad un passo dal gong e sfruttando con il cinismo tipico delle grandi squadre la rete decisiva di Vlahovic su errore di gestione della sfera da parte di Ikwuemesi.
Se la Juventus senza esprimere gioco lotta per lo scudetto ad un tiro di schioppo da una Inter che marcia a suon di record, la Salernitana se avesse giocato sempre così occuperebbe una ben più nobile posizione in classifica e non certo quella di fanalino di coda della serie A. Meriti a Filippo Inzaghi per questa metamorfosi del club di Iervolino e meriti a Sabatini, più per la scossa data con il suo arrivo che per i suoi effettivi interventi sul gruppo. Il tecnico e i suoi ragazzi hanno reagito e dato segnali incoraggianti, ora palla al direttore generale e al presidente per mettere a segno da domani colpi di mercato non più procrastinabili e determinanti per una salvezza ancora più che a portata di mano, anzi di piedi.
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