Episodio 15 del podcast ufficiale della Salernitana intitolato 'Vianema'. L’ospite di questa settimana è Antonio Capone, definito il “George Best” di Salerno, estroso calciatore granata negli anni ’70 e salernitano doc. Ha collezionato 30 gol in 137 presenze con la casacca granata e successivamente calcato i campi anche della massima serie con la maglia del Napoli arrivando a un passo dalla Nazionale: "Ho vestito le maglie di Salernitana, Avellino e Napoli. Mi è mancato il Benevento e la Casertana. Ai miei tempi non c'era questa rivalità. I tifosi della Salernitana mi venivano a vedere ad Avellino, i tifosi dell'Avellino mi venivano a vedere a Napoli e poi i tifosi della Salernitana mi venivano a vedere pure a Napoli. Dal '90 in poi è cambiata la situazione".

Cosa è cambiato?
"Cambiano le mode, cambiano i tempi, cambia l'alimentazione dei giocatori. Ai miei tempi c'era più tecnica, oggi conta di più il fisico. Oggi è un calcio molto veloce, quando non ci saremo più noi giocheranno i robot. Già oggi i giocatori sembrano delle macchine".

Cosa ha rappresentato la Salernitana?
"Abitavo vicino al Vestuti. La Salernitana era una squadra di C, dal '90 in poi è diventata una squadra di B che ha fatto anche qualche campionato di A. Sembrava di giocare sotto casa visto che abitavo lì vicino. Pure i tifosi erano tutti lì, era una grande comunità. Facevo anche l'aiuto pasticciere sempre vicino al Vestuti. Il mio padrone mi mandò a prendere tre caffè a Piazza Casalbore, la mia squadra dei salesiani perdeva 2-0, quando arrivo mi spoglio, entro e vinciamo 3-2 e così è iniziata la mia storia nel calcio. È stata la mia vera passione. Poi ho fatto anche il cantante e a Ferrara l'attore di teatro. Si prendevano in giro i personaggi più famosi, ho imitato Totò, Anna Magnani, Sgarbi, Bossi. Facevano una parte cantata e una recitata, tutto a memoria, l'ho fatto per dieci anni. Poi ho fatto l'allenatore ma ho visto che non era per me, dei avere tante doti. Pochi attaccanti sono diventati poi grandi allenatori, forse solo Cruijff che è stato il più forte giocatore europeo della storia. Maradona e Pelè i più forti del mondo".

Antonio Capone è stato il talento più grande che la città di Salerno ha espresso?
"Non lo posso dire io, Forse lo ero ma mi mancavano altre cose, un'educazione calcistica che a Salerno non abbiamo mai avuto. Il fenomeno attuale del Barcellona, Yamal, era tenuto in braccio da Messi, era già un predestinato. A Salerno quando avevo 12-13 anni non eravamo curati fisicamente e mentalmente, andavamo in campo e basta. Al sud è una mentalità diversa, nascono i talenti ma è in squadre come l'Atalanta, Fiorentina, Torino, Cremonese che poi crescono. Quando giocavo in Serie A nel Napoli, i giornalisti napoletani mi dicevano che c'erano più talenti naturali nel salernitano che nel napoletano ma alla fine sono usciti più giocatori napoletani che salernitani. Eravamo in tre, arrivati in Serie A. Santucci, Gentile e io. Poi negli anni '90 sono usciti altri giocatori, come Fortunato giocatore di grande livello. Poi altri che si sono persi per strada, che voleva il posto fisso, chi voleva andare a scuola. La Salernitana ha fatto cinque campionati di A, una ventina di B e tantissimi di C ma meriterebbe di farne tanti di massima serie, per il pubblico e per la città. Ora ho visto che ci sono anche bei campi di allenamento, un bel centro sportivo. Si potrebbe costruire una piccola cantera. Da Roma in giù però manca però sempre qualcosa, al nord c'è forse più organizzazione".

Ha fatto il percorso che meritava?
"Si poteva fare di più ma con un'altra mentalità e un altro fisico. Ero uno di quei giocatori che quando aveva voglia poteva far vincere qualsiasi partita, poi c'erano giorni in cui non avevo voglia. Una delle migliori partite della mia carriera la feci a Milano contro il Milan di Rivera. Il mio allenatore era Di Marzio, prima della partita mi disse 'Sei alla scala di Milano. Ti marca Collovati, vedi che vuoi fare'. Il Milan in quella partita cambiò tre marcatori, Collovati, Maldera e Maldini, nessuno riusciva a prendermi. Certe volte invece capitava che andavo in campo con la luna storta e litigavo da solo. Mancava la mentalità. Da Roma in su erano più quadrati e più forti fisicamente. Quelli della Juventus sembravano il doppio come fisico. A Salerno non venivamo curati, non c'erano allenamenti specifici e molti talenti si sono persi. Io ho imparato tutto in mezzo alla strada. Io avevo il vizio di dribblare e poi aspettare e tornare indietro invece di puntare alla porta come fanno i grandi campioni. E per questo ho preso anche un sacco di botte, mi sono infortunato al menisco, ai legamenti. Nell'80 Bearzot mi disse che sarei stato uno dei cinque attaccanti della nazionale per l'Europeo ma mi sono rotto il menisco. Mi fecero fare un po' di pesi e il fisico non ha retto".

La partita che ti è rimasta nella mente al Vestuti?
"Ce ne sono due. In una feci una tripletta anche se erano quattro gol. Con il Marsala feci tre gol e il giornale scrisse 'Capone ubriaca il Marsala'. Feci un gol su un tiro deviato che non mi è stato assegnato come succede oggi, poi feci un assist a Nando Di Francesco e poi feci altri tre gol. Quel giorno pioveva e c'erano le pozzanghere al Vestuti. La più bella però nel 1973 contro il Pescara allenato da Tom Rosati che prima di allora non aveva mai perso. Erano in ritiro sulla litoranea e alcuni tifosi granata andarono a salutare Rosati. L'anno prima ero nella Beretti della Salernitana ma Rosati non mi conosceva perchè il giovedì faceva allenare i granata con altre squadre, tipo la Cavese, e non con la Beretti. Una volta fui mandato in prima squadra ma Rosati non mi fece entrare e quindi non si ricordava di me. In quella stagione avevo già fatto qualche gol e quindi chiese di me a questi tifosi proprio perchè non si ricordava, però lui disse che aveva un difensore della nazionale di C e quindi sembrava tranquillo. Questa cosa mi fu detta da mio cognato per motivarmi. Vincemmo 2-0 con doppietta di Capone. Sull'1-0 prendo una distorsione e vado da Bruno Carmando che riesce a fasciarmi il piede miracolosamente, l'allenatore Viviani mi dice di andare a fare il secondo gol, rientro in campo scarto tutti portiere compreso e faccio il secondo gol. Dopo sono tornato a casa, a pochi metri dallo stadio, c'erano i tifosi che mi acclamavano, sono uscito fuori al balcone e li ho salutati come il papa. Sulle oltre cento partite con la Salernitana queste sono le più emozionanti. In carriera non ho mai vinto niente, ho sfiorato però qualche volta la Coppa Italia e anche una volta lo scudetto con il Napoli. Ho avuto molti problemi fisici poi. Serve tecnica e fisico".

A Salerno era soprannominato 'George Best'.
"Si, ero quel tipo di giocatore, come anche Gigi Meroni, Ronaldinho o Neymar. A me mancava però il fisico e la continuità. A Napoli mi chiamavano 'il brasiliano' perchè avevo quel tipo di gioco. Non basta però serve anche testa, serietà e fortuna".

La top 11 della Salernitana di Antonio Capone.
"Prati centravanti, io ala sinistra. Numero dieci Pantani. Mezzala Di Bartolomei. Come tornante metto Di Vaio. Terzino sinistro Santucci, stopper Mimmo Gentile e Luca Fusco, mediano Daolio, terzino destro Rosati. Come portiere mi piaceva Battara. Una squadra in cui dobbiamo avere sempre noi il pallone però, non difende nessuno".

Sezione: Primo Piano / Data: Mar 27 maggio 2025 alle 15:00
Autore: Lorenzo Portanova
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