"Non sono abbastanza forte, non ce la farò mai. Da domani, forse farei meglio a pensare alla scuola". È sera e nel campetto dell’Odense è rimasto solo un puntino biondo di quattordici o quindici anni che, tormentato da questi pensieri, scuote la testa, si dispera, addirittura prende a calci il palo per la rabbia. Lo fa con forza, probabilmente troppa per un ragazzino della sua età. E infatti il giorno dopo la diagnosi del medico non lascia scampo: frattura del piede. Almeno un mese fuori. Tradotto: la sua squadra, l’Odense, non avrà il portiere per quattro giornate.
Il mental coach
Già, perché il biondino in questione è Oliver Christensen, di mestiere fa il portiere e a quattordici anni è già divorato dall’ansia di non farcela. Tanto da voler smettere o appunto, da farsi male. Fatica a gestire la rabbia. Così decide di assumere un mental coach, una rarità per un ragazzo così giovane. Ed effettivamente funziona. Christensen inizia a gestire meglio le difficoltà, persino il 'no' incassato a diciott’anni anni dal Manchester United dopo tre giorni di provini. Pazienza. Se ne parla, si razionalizza. Di occasioni ce ne saranno altre.
Leader
Oggi Oliver è il numero uno della Salernitana di Breda: è arrivato da meno di un mese ed è già leader e idolo dei tifosi. Tre partite, due clean sheet e due volte il premio di man of the match. Con la Cremonese ha salvato la porta con quattro interventi prodigiosi, l’ultimo su Vazquez con la mano di richiamo a tempo scaduto. Stessa cosa sei giorni dopo con il Brescia: anche qui migliore in campo. E all’Arechi sono già pazzi di lui.
In punizione
Chi lo conosce lo racconta come un ragazzo iperattivo, sempre in movimento e un po’ 'pazzo'. Come da prassi, se fai il portiere. Pensare che lui nelle giovanili dell’Odense finì in porta perché in campo entrava troppo duramente su compagni (in allenamento) e avversari. Così i genitori suggerirono di mandarlo in porta. Come fosse... una punizione. Invece lui si è adattato, si messo in gioco e in discussione e ha fatto strada. Lavorando su stesso, in campo e fuori. "Per convincerlo a venire a Salerno sono bastati 5 minuti. Non pensavo potesse mai accettare di scendere in Serie B". Così ha raccontato la trattativa il ds Valentini. Christensen ci ha messo pochissimo a calarsi nella nuova realtà e l’ha vista come un’occasione: giocare, dimostrare il proprio valore e poi chissà. Intanto sarà importante aiutare la Salernitana a raggiungere la salvezza. L’inizio è stato confortante. E se il buongiorno si vede dal mattino...
A Firenze
Con la Fiorentina, lo scorso anno, esordisce in A alla seconda giornata, poi gioca a San Siro con l’Inter e da lì niente più. Solo altre due presenze in Coppa Italia - tra cui una in cui è decisivo contro il Parma - e quattro in Conference. Da gennaio, complice un infortunio, non lo si vede più tra i pali. Quest’anno, con l’arrivo di De Gea, non ha mai trovato spazio. Da qui, la scelta di voler andare a giocare. Per riprendere fiducia e minuti. E soprattutto per provare a dimostrare il suo valore.
Fuori dal campo
Fuori dal campo, invece, lo descrivono tutti come un ragazzo solare, con la battuta pronta e molto rispettoso. È un grande appassionato di Nba, un paio di notti a settimana resta sveglio per guardare le partite. Poi è molto legato alla famiglia. Quando è arrivato a Firenze ha subito guardato gli aeroporti che collegavano la città con la sua Danimarca. Un modo per farsi venire a trovare da amici e parenti. Li porta sempre con sé, anche dietro la maglia. Indossa infatti il 53, che è il numero del codice postale del suo quartiere a Odense. Lì, dove tutto è iniziato. Quando tirava i calci al palo e mandarlo in porta equivaleva a metterlo in castigo. Siano lodate quelle punizioni.
Autore: Lorenzo Portanova
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