Da Gennaio 2022 ad aprile 2024 sono trascorsi circa 28 mesi, più o meno 840 giorni di calendario in cui ne è passata di acqua sotto i ponti e in cui gli eventi, positivo e negativi, si sono susseguiti vorticosamente per il presidente Iervolino e la sua Salernitana. Un vortice di emozioni forti e agli antipodi tra loro, da un lato una gioia indescrivibile per una salvezza miracolosa in serie A e dall'altro l'amarezza e il dolore per una retrocessione anticipata ed evitabile in serie B, con nel mezzo quello che forse, anzi senza forse, è stato il migliore campionato mai disputato dalla Bersagliera nel calcio professionistico. Ci sarebbero tante storie nelle storie da raccontare in questo breve ma intenso ciclo da patron dell'imprenditore di Palma Campania, ma quel che più oggi preme evidenziare sarebbero, in realtà, i punti di contatto della parabola Salernitana targata Iervolino. Diciotto mesi da leone per il quarantacinque partenopeo nell'Hyppocratica Civitas e dieci mesi indefinibili e capaci di smentire e rinnegare un po' tutto, a cominciare dalla considerazione, dalla stima e dal sincero affetto che la piazza campana aveva per il suo massimo dirigente calcistico. Due uomini diversi? Un fratello gemello? tutti si chiedono i perché di una totale trasformazione del patron, che è passato da un entusiasmo travolgente e da programmi iper ambiziosi a un freddo distacco e a una gestione da minimo sindacale.
Il quadro che ne risulterebbe parrebbe a prima vista poco comprensibile e riconciliabile secondo un comune filo conduttore ma forse un nesso di base si può individuare, magari tale da capirci qualcosa in più. Iervolino si è dimostrato sin dagli albori della sua esperienza calcistica come un presidente passionale e un po' umorale, voglioso di incidere, di stupire e di trasformare più che di programmare e pianificare una graduale crescita economica, tecnica ed organizzativa del suo club. L'iniziale voler troppo precorrere i tempi fisiologici necessari per costruire un bel giocattolo sportivo, che poteva puntare negli anni a camminare sulle proprie gambe, e prima ancora per capire un mondo del tutto nuovo e ricco di potenziali bucce di banana su cui scivolare, ha finito per lasciare il posto ad un allarmismo e ad un irrigidimento notevole, con tempi e modi di reazione incompatibili con le esigenze di una società professionistica che doveva competere per la salvezza in massima serie. Passionalità, umoralità e iper esposizione mediatica, lo si sa, mal si conciliano con una programmazione attenta e scientifica di un percorso di crescita progressiva e sostenibile di una realtà calcistica professionistica.
Se si ripercorre il cammino della squadra granata si può notare come ad un primo periodo in cui la proprietà aveva affidato giustamente tutto a Sabatini per rincorrere un'impresa sportiva si sia succeduta un'inversione di rotta totale con l'investitura di un direttore sportivo giovane e inesperto che avrebbe dovuto costruire un progetto di medio lungo termine improntato su giovani di prospettiva da valorizzare e rivedere a suon di benefiche plusvalenze di bilancio. Un modello Udinese o Atalanta, seducente quanto poco plausibile dopo un solo mezzo anno di serie A e soprattutto se non si hanno alle spalle la giusta esperienza e le giuste conoscenze. È storia recentissima, purtroppo, l'ennesimo contro ribaltone con il ritorno di Sabatini, stavolta ancora di più figlio di una classifica disastrosa e con il sapore di una grande ammissione di errori commessi, un mea culpa implicito ma nemmeno troppo. Il punto di contatto tra tutte queste contraddittorie vicende non può che essere la mancanza di programmazione e pianificazione, in primis l'incapacità di individuare nella seconda stagione gli uomini giusti su cui puntare per costruire un ciclo duraturo, un ds ed un tecnico in buona sintonia metodologica ed umana per iniziare un sano lavoro di costruzione di un gruppo di giocatori di proprietà, o comunque fidelizzati, da portare avanti e fare crescere gradualmente di anno in anno.
Difficile farlo quando ci si fa trasportare dagli eventi e dai correlati umori e ancora di più laddove ci si deve affidare ai consigli altrui, ai potenziali soloni di turno che , dall'interno o dall'esterno, mal consigliano, vuoi per poca esperienza e competenza, vuoi per perseguire possibili interessi personali o di bottega. In un contesto del genere un presidente, facoltoso e pur imprenditorialmente capace e vincente, può benissimo finire in una sorta di tritacarne, una spirale perversa dove commettere errori su errori, nel tentativo di correre ai ripari e di sostituire i timonieri a nave già in alto mare. Correggere una rotta, andarla a tracciare più volte, ascoltare ora un timoniere ora un altro, può ben indurre a perdere la proverbiale bussola e a navigare senza meta precisa verso scogli affioranti potenzialmente letali. Nella stagione corrente il disastro tecnico e sportivo si sarebbe compiuto proprio in questo modo, con un continuo regresso di scelta in scelta e di soluzione in soluzione. Tanti medici ed infermieri attorno ad un malato sempre più moribondo e insensibile alle terapie praticate, una morte sportiva annunciata per la quale si attende soltanto il sigillo ineluttabile della matematica, imminente oramai.
La retrocessione arrivata a cavallo di Pasqua sia profetica in ottica di una resurrezione rapida quanto provvidenziale per un pubblico che certamente non la meritava per passione e civiltà dimostrata sinora. Se errare può essere umano e meritevole di comprensione, l'eventuale perseverare non potrebbe mai esserlo e trovare parole disponibilità, per cui va fatto tesoro dell'enorme bagaglio di errori commessi e va invertita ora la rotta di 360 gradi. La querelle con la politica locale non sia assolutamente un alibi cui aggrapparsi e ciò essenzialmente perché era risaputo che chiunque prendesse le redini della Salernitana non avrebbe potuto contare su alcun assist degli uomini di potere del nostro territorio, i quali già con Aliberti, Lotito e Lombardi nulla hanno fatto di concreto per agevolare gli investimenti in strutture ed infrastrutture della società, nulla per fare crescere la Bersagliera, nulla oltre che belle parole di cui riempirsi la bocca in occasione delle vetrine regalate dai successi dei granata. La politica non ha responsabilità per questa retrocessione, ma semplicemente perché sempre questo (non) ha fatto per la prima squadra cittadina.
Iervolino, i dirigenti, i giocatori tutti nessuno escluso, sono i responsabili della situazione e del salto all'indietro di categoria, semplicemente perché costoro programmano, gestiscono o scendono in campo. Iervolino e soci dovevano fare spallucce di fronte all'inettitudine degli interlocutori politici ed amministrativi locali, continuare a investire e mettere a nudo le loro lacune anziché le proprie, così non perdendo di popolarità e credibilità. I fischi sonori (e meritati) al primo cittadino di Salerno Vincenzo Napoli (estendibili all'altro più popolare Vincenzo) nella serata della festa salvezza 2023, hanno lasciato il posto alle contestazioni, civili, al patron e ai calciatori. Dalla cattiva conduzione del mercato estivo, dalla pessima gestione Dia, dal gruppo spaccato e mai ricucito fino al tracollo post mercato invernale (sbagliato e dannoso) sono stati troppi gli errori marchiani per poter essere assolti. Ora siamo al bivio dott. Iervolino: lasciare o rilanciare, a lei la scelta ma in tempi piuttosto celeri. Se resterà potrà riscattarsi e recuperare pure il suo appeal presso la tifoseria oggi giustamente indispettita, ma ciò a patto di cambiare radicalmente registro perché se errare humanum est....
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