Il patron Danilo Iervolino ha rilasciato alcune dichiarazioni al Corriere dello Sport in esclusiva (qui la prima parte dell'intervista):
Come valuta il fatto che la Salernitana scenda dalla Serie A alla Serie C in due anni e società indebitate sino al collo abbiano nuove opportunità?
"È uno dei grandi paradossi del calcio italiano. Chi impegna mezzi propri, chi rispetta i parametri, spesso si ritrova penalizzato rispetto a chi convive con situazioni debitorie fuori controllo. Il sistema premia chi sopravvive per inerzia, non chi costruisce con visione. Serve una riforma profonda, seria, non più rimandabile. Altrimenti, tanti investitori smetteranno di credere in questo sport".
Da imprenditore vincente, lei ha approcciato il calcio italiano con spirito da innovatore, ha messo tanti soldi in questi ultimi tre anni nel movimento, combattuto distorsioni al limite della legalità e suggerito riforme non più rinviabili. Ma ne esce, almeno per ora, sconfitto. Sensazioni e reazioni?
"È vero. Ne esco sconfitto, ma a testa alta. Ho dato tutto quello che potevo, mettendoci il cuore oltre il capitale. Ho trovato un sistema spesso chiuso, autoreferenziale, incapace di cambiare. Ho commesso errori, ma non ho mai rinunciato a credere in un calcio migliore. La sconfitta è amara, ma può essere anche un seme per ripartire. Se c’è delusione, c’è anche coscienza. E la coscienza, se non la si tradisce, ti permette sempre di rialzarti".
Ci sono stati, tuttavia, anche molti errori della sua società e del management che l’ha governata. Quali sono addebitabili a Danilo Iervolino?
"Quando sei il proprietario, ogni decisione è tua. Ho sbagliato a fidarmi di alcune scelte tecniche, a non trovare continuità nella guida sportiva, a non costruire una base solida e lunga nel tempo. Ho ascoltato troppo chi mi diceva 'servono cambiamenti' e poco chi suggeriva stabilità. Ho commesso errori, ma mai in mala fede. Sempre con il desiderio di migliorare".
Cambiare due direttori sportivi e quattro allenatori in una stagione non è stato l’ideale. O no?
"È stato un errore evidente. La discontinuità logora, destabilizza, spezza lo spirito del gruppo. Ho pensato che intervenire fosse l’unica soluzione, invece serviva tempo e pazienza. Ne prendo atto con umiltà".
Ma anche arrivare con 23 calciatori a scadenza, molti dei quali già sul mercato, è stato un altro effetto collaterale di una gestione non impeccabile. Non crede?
"Sì, è un altro punto critico. Abbiamo fatto una scommessa rischiosa: cercare motivazione in chi doveva ancora guadagnarsi un rinnovo. Ma in un contesto così difficile, ha funzionato poco. Serve progettualità, una rosa che senta l’appartenenza. Questo sarà un punto cardine della ricostruzione".
Tornasse indietro terrebbe Pippo Inzaghi in A e poi magari in B?
"Con il senno di poi, forse sì. Ma il calcio è fatto di momenti, di pressioni, di aspettative. In quel frangente ho pensato fosse necessario cambiare. Oggi mi rendo conto che, probabilmente, la continuità avrebbe pagato di più".
Perché non è riuscito a patrimonializzare la Salernitana con infrastrutture di proprietà? Si è sentito solo in questa impresa?
"La verità è che mi sarei aspettato una risposta diversa dal tessuto imprenditoriale locale. Costruire infrastrutture significa lasciare un’eredità, creare valore stabile, dare casa a una passione. Ma da soli non si può fare tutto. Ho provato a stimolare energie, creare sinergie, ma ho trovato scarso entusiasmo e poca partecipazione. Serviva uno sforzo corale che non c’è stato. Non voglio accusare nessuno, ma è evidente che senza il supporto convinto di un’intera comunità economica, è difficile realizzare progetti di ampio respiro. Anche questa, purtroppo, è una lezione che porto con me".
Immagina un rilancio o ipotizza una resa definitiva come proprietario della Salernitana?
«Non penso affatto alla resa. Penso alla ricostruzione. Questo è il tempo della riflessione, certo, ma anche della determinazione. La Salernitana non può finire qui. C’è una ferita, ma anche una voglia profonda di riscatto. Ripartiremo con idee più chiare, con basi più solide, con scelte coerenti. A chi spera che io molli, rispondo che non ho mai amato le uscite di scena. Amo le sfide, e quella che mi attende oggi è forse la più dura, ma anche la più autentica. Perché chi ama davvero, resta. E io rimango qui per rilanciare questa maglia e questa città".
Autore: Lorenzo Portanova
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