"La fascite plantare mi faceva impazzire: mi imprigionò il piede mentre la mia carriera stava sbocciando. Persi la serenità, la Nazionale e il posto in squadra". Roberto Cardinale, ex difensore della Salernitana, stoppava gli attaccanti ma non riuscì a frenare «un nemico insidioso» nascosto nella scarpa. Ora tormenta Djuric. Quale fu e quanto durò il suo percorso riabilitativo? "Un anno e mezzo da incubo. Mi condizionava anche in una passeggiata. Ero costretto a fare stretching in prossimità di ogni marciapiede che incontravo. Pure il calciomercato ruotava intorno alla fascite: mi cercarono Perugia e Lecce, due squadre blasonate, ma scelsi il Perugia anche perché aveva un bravo ortopedico, Cerulli, e avevo l'angoscia dell'infiammazione al piede, sempre dietro l'angolo. Dopo cicli di fisoterapia, mi salvò un osteopata. Con un serie di manipolazioni, riuscì a sbloccare una serie di tensioni muscolari".

C'è un modo per guarire alla svelta?

"Non ne conosco: la via maestra è il riposo. Non si interviene chirurgicamente, perché si tratta di una infiammazione. Possono generarla calzature strette - molto spesso noi calciatori prediligiamo la scarpa che aderisca meglio al piede per facilitare il contatto con il terreno di gioco e con il pallone - oppure può essere conseguenza di un infortunio pregresso".

Nel suo caso?

"Problemi di postura. Accadde in seguito a un ponte subito in uno scontro di gioco con Rocchi, durante la sfida all'Empoli. Caddi male, la schiena subì un duro colpo. Imboccai il tunnel, lungo quasi due anni, tra il 2002 e la prima parte del 2004: Salernitana, prestito alla Reggina, di nuovo Salernitana, poi Perugia. In Umbria, la soddisfazione dell'esordio in Serie A contro il Siena ma anche una nuova infiammazione che fermò - forse, dicevano, pronosticavano - una carriera in ascesa".

Djuric, dopo i 12 gol in granata, rischia un lungo stop?

"Adesso deve pensare a guarire. Occorrono tempo e pazienza. Io - e credo anche lui - non riuscivo a poggiare il piede a terra né ad infilare la scarpa. È inutile, però, disperarsi. Passerà, a patto che non si forzi il rientro. Se si affretta tutto, la fascite non dà tregua e diventa cronica. Senza dubbio mi penalizzò: respiravo aria di Nazionale, ero nel giro dell'Under 21, una delle soddisfazioni più grandi, insieme al debutto in A con il Perugia e all'esordio in B, a novembre 1999, durante Salernitana-Fermana".

Lei era un golden boy del settore giovanile. Poi divenne un creditore, uno dei tanti.

"Due gestioni diverse: la beata gioventù ai tempi di Aliberti; molti anni dopo, le rinunce, i contratti non onorati e le difficoltà economiche in età adulta con la Salernitana Calcio. È dura, quando firmi contratti, pattuisci e poi ti ritrovi con aria fritta tra le mani. Non auguro a nessun collega di rivivere la nostra esperienza. Oggi a Salerno c'è una società solida. Il puzzle, però, non è completo. La gente è insoddisfatta e contesta, lo scollamento del club con la tifoseria è evidente. È il problema più grande. Ai nostri tempi, ci fermavano per strada e ci offrivano il caffè. Adesso c'è solo amarezza. La Salernitana senza tifosi non è Salernitana. Ricucire il rapporto deve essere il primo acquisto, la priorità. Occorre un avvicinamento, un chiarimento".

È ancora possibile?

"Sì, se c'è chiarezza. Sì, se c'è il giusto approccio. A Salerno ho vinto il campionato di Serie C e ho disputato il campionato di Serie B. Sono due cose diverse, quindi c'è bisogno di idee diverse e di scelte adeguate alla nuova categoria. Permesso che nessuno scende in campo per partecipare e basta, non c'è scritto da nessuna parte che la vittoria del campionato cadetto sia automatica conseguenza dell'ingaggio di giocatori dal passato illustre o di arrivi dalla Lazio. E neppure è accaduto che siano arrivati solo dalla Lazio. Hanno vinto altri perché altri erano più forti. I tifosi non vedono la Salernitana competere per il vertice e sono amareggiati, perché Salerno in Serie B merita un altro percorso".

Sezione: News / Data: Sab 29 agosto 2020 alle 22:30
Autore: TS Redazione
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