E' stato uno degli eroi della salvezza e del famoso 7%, lui che accettò Salerno senza indugio con una situazione drammatica di classifica e con una società che si era appena affacciata nel mondo del calcio. Eppure la sfida non lo spaventava. Tutt'altro. Al punto che è diventato partita dopo partita uno dei titolari inamovibili e dei punti di riferimento all'interno dello spogliatoio. La tifoseria, tuttora disorientata per un addio inaspettato e che va in direzione opposta rispetto al concetto di meritocrazia, ricorderà a vita l'esultanza all'Olimpico dopo l'eurogol segnato contro la Roma, ma anche e soprattutto le lacrime sotto la Sud con tanto di fumogeno in mano. Una immagine che resterà scolpita per sempre sulla sua pelle, come testimonia il tatuaggio fatto pochi mesi fa. Ivan Radovanovic ha rescisso da poco il contratto con la Salernitana chiudendo l'avventura con sei mesi d'anticipo rispetto alla tabella di marcia. Lui che è stato determinante anche nel girone d'andata e che poteva essere un punto di riferimento in questa fase così complessa. La redazione di Tuttomercatoweb ha avuto il piacere di intervistarlo in esclusiva e di parlare di tante cose: il momento della firma, la vittoria di Genova, l'1-3 contro la Lazio dell'ex Lotito, il rapporto con la famiglia e i ringraziamenti. Per tutti? Non proprio. Perchè non c'è alcun riferimento al direttore sportivo Morgan De SanctisEcco le sue dichiarazioni:
Riavvolgiamo il nastro e partiamo da quel giorno in cui accettò Salerno con una situazione critica...
"Il 27 gennaio mi chiama Walter Sabatini, mi ha detto testualmente "Sei un leone in gabbia, esci da questa gabbia e lotta insieme a noi". Ho sempre giocato al Nord: Bergamo, Verona, Novara, Genova. Avevo voglia di provare sulla mia pelle le sensazioni di una squadra del Sud. Accettai subito, chiesi soltanto due anni di contratto nonostante una posizione di classifica deficitaria. Lo stesso ds mi disse "Stai attento, abbiamo un piede e mezzo in serie B". Ma per me non sarebbe stato un problema, sarei rimasto per riportare la Salernitana in A".
Come è stato l'approccio con quella nuova realtà?
"Vi dico, con onestà, che quando sono arrivato ho fatto fatica. E' un po' lo stesso discorso che valeva per Fazio: la lunga inattività, soprattutto a certi livelli, si paga e ci vuole tempo per ritrovare una condizione accettabile. Quando Sabatini, in una intervista, si lamentò dello scarso rendimento dei nuovi arrivati mi sono arrabbiato perchè avrei preferito me lo dicesse in faccia, ma poi ho capito che lo ha fatto volutamente per pungerci nell'orgoglio. E ho trasformato quella rabbia in energia positiva. C'è poi una cosa che ci tengo a dire. In rosa eravamo tanti, a un certo punto 7-8 calciatori si allenavano un po' in disparte e non trovarono molto spazio. Tra questi c'era Capezzi, poi Di Tacchio che era stato capitano per anni. Ecco, se chi aveva portato la Salernitana in A si allenava senza dire mezza parola con quella professionalità c'era, da parte nostra, l'obbligo morale di dare più del 110%. E' grazie a questo gruppo che ci siamo salvati, oltre che ai tifosi. Ricordo l'autostrada a Empoli totalmente colorata di granata".
Scendeste in campo a Genova con 12 punti di distacco dalla zona salvezza, cosa vi diede la forza per ritrovarvi in vantaggio per 2-0 dopo 4 minuti?
"Proprio per il discorso che ho appena fatto. Gruppo coeso e tifoseria che ci faceva provare la sensazione di giocare sempre in casa. E poi...la squadra era veramente forte. Fazio, Gyomber, Ederson, Bonazzoli, Bohinen, Coulibaly, Mazzocchi, Verdi. Avevamo potenzialità che sarebbero inevitabilmente esplose una volta ottenuta la prima vittoria dopo una serie di prestazioni positive senza risultati. C'era pure Perotti, ragazzo fondamentale nello spogliatoio e che mostrò grande umiltà pur avendo una carriera di un certo livello alle spalle. Se penso a certi momenti mi vengono i brividi. Compresa quella vittoria per 2-1 a Genova"
In quel rush finale è accaduto praticamente di tutto, cosa ricorda di quei momenti così intensi ed emozionanti?
"Quando revocarono il rigore per il Cagliari sembrava fosse un segnale. Pensai: "Ci salviamo,è fatta!". Invece ci fu il pareggio di Altare a 5 secondi dalla fine. Questo poteva abbatterci e darci il colpo di grazia, invece andammo ad Empoli e ci prendemmo quel punto che, alla fine, ha fatto la differenza. Lo 0-4 con l'Udinese è un qualcosa di difficilmente spiegabile, quando in 90 minuti ti giochi tutti i sacrifici fatti in un anno è possibile che le gambe si fermino e che entri in un vortice dal quale non riesci a uscire. C'erano 35mila spettatori, avevamo una voglia matta di segnare, vedere lo stadio esplodere e chiudere il discorso. Invece andarono in vantaggio loro e non avemmo la lucidità di reagire. Però mi dà fastidio quando si dice che ci siamo salvati grazie allo 0-0 del Venezia sul Cagliari. So io quanti sacrifici abbiamo dovuto fare, mi riferisco soprattutto a quei ragazzi che per sei mesi hanno giocato senza una società alle spalle e con tante preoccupazioni che inevitabilmente incisero".
Parliamo poi della sua esultanza del 22 maggio...
"Durante la partita avevo buttato 3-4 fumogeni fuori dal campo, temevo la sospensione della gara. Mi volevo salvare sul campo, la sconfitta a tavolino sarebbe stata tremenda. A fine match ho preso il fumogeno e sono andato sotto la curva trasformando quell'immagine in un tatuaggio che resterà a vita sulla mia pelle. Non dimenticherò mai quel 22 maggio, vi posso assicurare che la mia anima era tranquilla perchè ero certo che ci saremmo salvati".
Si può dire che il pubblico ha fatto la differenza per il raggiungimento di una salvezza incredibile?
"La società, il direttore, i giocatori e il mister sono fondamentali. Ma senza tifosi non vai da nessuna parte. Non ho mai visto, ai tempi del Genoa, un settore ospiti così pieno. Invece i salernitani hanno invaso San Siro, un muro granata che cantava anche sullo 0-5. Non ho mai visto una curva come l'Arechi, già nel riscaldamento canta tutto lo stadio. Fuori casa è una roba mai vista, vi posso assicurare che non è una sviolinata perchè ho girato tante piazze".
Per lei questa è stata una stagione un po' complicata...
"Durante il ritiro estivo ho avuto un infortunio, però c'erano delle situazioni d'emergenza e mi sono messo a disposizione. A Udine ho giocato dopo uno stiramento, stessa cosa che accadde nel rush finale della passata stagione. Scesi in campo con Fiorentina e Atalanta con infiltrazioni, ma per la Salernitana si fa tutto. Tornando a quest'anno, da vice capitano volevo dare l'esempio e ho sempre detto al mister che poteva contare su di me. Abbiamo fatto delle belle vittorie, soprattutto quella a Roma ha un sapore speciale".
L'addio di Sabatini e il dietrofront su Nicola possono aver destabilizzato il gruppo?
"Ci è dispiaciuto l'addio di Sabatini, è un signore e uno che era presente ogni giorno all'allenamento. Se qualcuno si comportava male o diceva una parolaccia ci prendeva in disparte e sapeva quando usare il bastone e quando la carota. A volte ci ha criticato in pubblico, è vero, ma era in grado di toccare le corde giuste. Non entro nel merito delle scelte societarie, compresa quella di richiamare Nicola dopo aver preso 8 gol a Bergamo".
Assieme a lei sono andati via tanti artefici del miracolo sportivo, come spiega questa scelta del club?
"Evidentemente la società voleva cambiare tanto, qualcuno di noi è rimasto solo perchè aveva il contratto. Io sarei rimasto a Salerno, nonostante le tante voci sulla scelta di non rinnovare. A fine gennaio, a 34 anni e con una famiglia dietro, non posso sentirmi dire "O vai a Cagliari o ti mettiamo fuori lista". Ho un figlio che va alle scuole elementari, mi trovo bene a Salerno, dopo centinaia e centinaia di partite in A e tra i professionisti ero pronto a dare una mano pure se non avessero rinnovato. Ma non mi aspettavo un trattamento così. Ringrazio il Cagliari, ci mancherebbe, ma la mia testa era tutta dedicata alla Salernitana".
Si aspettava una presa di posizione più forte e concreta da parte di Nicola?
"Ci parlerò. Ora è concentrato sul suo lavoro, è un momento delicato. Verrà il tempo per parlare con l'allenatore. Lo reputo una brava persona, avevamo condiviso già l'esperienza di Genova".
Qual è il suo stato d'animo in questi giorni?
"La parte più bella della mia vita l'ho passata in Italia. Avevo casa a Verona, sono molto legato al vostro Paese. Mi dispiace che 18 anni di carriera si siano chiusi in questo modo quando poi mancavano pochi mesi alla scadenza del contratto. Ho sentito tante chiacchiere, ma nessuno può mettere in discussione la mia educazione. In campo l'adrenalina può portare qualche battibecco, fa parte del gioco, ma nello spogliatoio e con il club mi sono sempre comportato benissimo. Se il Chievo era stata la mia isola felice, la Salernitana era il mio paradiso. Mia moglie Anita è molto triste, la mia famiglia è stata accolta benissimo e nessuno si aspettava uno stravolgimento del genere nell'arco di 48 ore. Giovedì sono andato a prendere le bimbe a scuola, ci siamo commossi quando le maestre le hanno abbracciate e salutate con affetto. E, nel mio cuore, l'amarezza e la rabbia aumentano. Sono marito, sono padre, non mi aspettavo un trattamento del genere. Accetto le scelte del presidente, anzi lo ringrazio per avermi fatto vivere l'anno più importante della mia carriera. Estendo il ringraziamento a Nicola, Colantuono, Sabatini, lo staff medico, i fisioterapisti, i miei ex compagni ai quali voglio veramente bene. Ho legato con tutti, cerco di essere parte integrante del gruppo. Li seguirò e spero che portino la Salernitana alla salvezza il prima possibile. Saluto la città di Salerno che ha accolto me e la mia famiglia, ci torneremo spesso. I tifosi sono fantastici, hanno capito che ho sempre onorato la maglia nella quotidianità e non solo la domenica. Dietro le quinte c'è tanta gente che lavora per la causa ma fa la differenza. Una volta salvi volevo fare io l'intervista a loro perchè volevo che il pubblico scoprisse personaggi speciali che amano la Salernitana. Ho visto molti di loro piangere dopo la sconfitta di Bergamo e questa cosa mi ha toccato il cuore. Anche i giardinieri, con la loro professionalità, incidono sul nostro lavoro".
Quale sarà il futuro di Radovanovic?
"Non lo so. Ho una grande confusione in testa. Ho mille pensieri che non mi aiutano a scegliere per il meglio. A momenti penso di voler fare l'allenatore, in altri il direttore sportivo, in altri non vorrei fare nulla. Potevo restare a Salerno e prendermi l'affetto della gente, ma mi avrebbe fatto male seguire la Salernitana a distanza. Sarebbe stata una sofferenza. Nella mia carriera calcistica nessuno mi ha mai regalato niente e mi hanno mandato via con appena altri sei mesi di contratto. Finirla così è un brutto colpo. Avrei accettato tutto, anche la panchina o una mancata convocazione. Magari potevo tornare utile con la mia esperienza, fosse anche col ruolo di leader del gruppo dietro le quinte. Torno in Serbia e farò affidamento sugli affetti più cari per superare la delusione".
Autore: Luca Esposito / Twitter: @lucesp75
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