Di seguito l'ultima parte della lunga intervista rilasciata da Davide Nicola al sito UltimoMinuto:
Ti ho seguito nei giorni che hanno preceduto Salernitana-Lecce, mi sei sembrato sinceramente allarmato per l’impegno che dovevate affrontare. Poi la partita l’avete persa. Arrivavate dall’impresa sfiorata a Torino con la Juventus. Lì è più l’esperienza dell’allenatore che ti ha fatto fiutare il pericolo o hai proprio visto qualcosa che non ti è piaciuto negli allenamenti?
Non ero allarmato, ero realista. Nei compiti di un allenatore non c’è solo quello di allenare sé stesso e chi va in campo. Non sei coinvolto perché hai imparato a gestire le tue emozioni, a capire dov’è la verità per te, a riconoscerla, non è perché uno ti critica o ti esalta che tu sei preda di questi picchi. L’allenatore è colui che riesce a riportare la bilancia in equilibrio per far rendere tutti alla massima espressione possibile. Onestamente, senza piangere – non sopporto chi mette le mani avanti. Stavo semplicemente dicendo che i numeri raccolti – che sono solo di sette partite e non fanno ancora tendenza, anche se sono già buoni – dicevano che il Lecce è una squadra costruita con un certo criterio, per esprimere un certo tipo di gioco e i numeri gli stanno dando ragione. È una squadra che ha perso senza meritare già con il Torino; ha strameritato di vincere contro il Monza; ha pareggiato a Napoli contro la miglior squadra del campionato per produzione di gioco. Arrivano a Salerno e sanno di incontrare una squadra che vuole fare un certo tipo di gioco, di aggressività. Loro sono una squadra che tende a toglierti spazi, ad avere una grande organizzazione difensiva, coprendo bene il campo, con tre-quattro giocatori davanti che ti partono con una facilità e una naturalezza, che sembrano nati per fare quello.
Mi stai dicendo che la Juve non c’entra niente? Tu quella conferenza stampa l’avresti fatta allo stesso modo anche se avessi perso a Torino? Anche se non ci avessi proprio giocato?
"Assolutamente sì. Io nelle conferenze stampa parlo delle caratteristiche degli avversari che incontreremo, che è importante conoscere perché noi dobbiamo sapere dove sviluppare il nostro gioco, dove colpire. Allo stesso tempo, avendo l’umiltà di capire che siamo in Serie A e ogni avversario è qualitativo, anche loro avranno una strategia di gioco che noi dobbiamo conoscere per limitare. Il Lecce è una squadra costruita con un criterio, che ti può mettere in difficoltà. “Stavamo per vincere a Torino, vuoi che non vinciamo contro il Lecce?”, questi sono i luoghi comuni del calcio che si spostano tra due piatti di una bilancia. E tu allenatore sei la leva nel mezzo. E non alleni solo in campo, lo devi fare anche fuori. Io lo faccio con onestà, quello che penso dico. Se proprio non posso dire quello che penso, sto zitto. Dicendo le cose come stanno, poni sempre tutti nelle condizioni di non seguire dei luoghi comuni. La partita di Torino ha dimostrato che in questo momento la Juventus è in difficoltà, ma il loro modo di stare in campo è diverso da quello del Lecce. Loro non ti tolgono spazi, loro giocano. Poi rallentano il gioco, non sono una squadra aggressiva, per cui non ti tolgono spazi. Se però ti trovano l’uno-due mortifero vanno in vantaggio, poi ti portano sui loro ritmi perché pensano già alla partita successiva. Ti cambiano le strategie di gioco perché hanno tre modi di stare in campo. Già abbassando o spostando un giocatore, ti cambiano tutte le uscite in pressione. È una difficoltà cognitiva non indifferente. È una squadra difficile perché non è riconoscibilissima, perché c’è un allenatore per cui i principi contano più degli schemi e delle posizioni, porta l’avversario a dover ragionare. Bella la partita con la Juve, abbiamo dimostrato che possiamo essere competitivi, lo avevamo già dimostrato con la Roma. Ma arriva un altro avversario che mostra delle difficoltà diverse, che devi essere bravo a riconoscere e limitare.
Se vai a vedere, con il Lecce noi siamo partiti fortissimi, aggressivi. Pressione sulla costruzione del loro portiere, che poi ti cercava la profondità direttamente, ti costringeva alla lettura di una seconda palla, a un duello aereo. Dovevi iniziare a imbastire di nuovo le tue trame, avendo meno campo da attaccare. Ci volevano capacità di riconoscere una superiorità numerica, iniziative individuali, triangolazioni più veloci e più precise, sfruttare l’ampiezza di uscita dei terzini per avere dei due contro due centrali. Destrutturarli per trovare i varchi di entrata. Ho fatto fatica a dirtelo, ma in campo come si fa tutto questo? È sempre una questione di percorso. Stiamo di nuovo parlando dei 10 secondi netti che devono diventare 9.90. Partiti forte, ci hanno annullato un gol, abbiamo avuto un’altra occasione clamorosa davanti al portiere. Poi siamo calati, due errorini, uno di lettura, l’altro individuale, di determinazione, di un giocatore che non conosce ancora il campionato e gli avversari che va ad affrontare, e abbiamo preso lo 0-1. Tu continui a fare la tua partita, ma la fai più lenta, perché non hai gli stessi spazi di prima da attaccare, perché non sei veloce con le combinazioni, perché dovresti avere più personalità nella conduzione coi braccetti per provocare le uscite in pressione di un avversario e così creare il varco. Diventa un lavoro certosino, dove la qualità di scelta e di tecnica sono di un livello superiore. Su quello dobbiamo ancora arrivarci, con altri step di lavoro.
Nonostante tutto la partita la riprendi. Sostituisci un braccetto con un uomo che ha caratteristiche da terzino, di fatto scivoli a quattro dietro. Alzi Candreva, che ha lavorato come ala, provando a dilatarli ancora di più per provare a entrare. La partita la recuperi, dopo aver iniziato il secondo tempo nella loro metà campo. E dove loro cercano di invogliarti a giocare dentro, al centro, per riconquistare il pallone e ripartirti. Sono stati bravi, avevano una strategia impeccabile. Tu riprendi la partita cercando di fare gioco con la tua identità. Ma lì c’è lo step migliorativo. Capire cioè che le cose possono andare anche in modo leggermente diverso. Anche quando può sembrare facile – perché ti accorgi che il tuo gioco è fluido, che gli avversari che fanno fatica a leggerti, e tu prendi vigore, puoi permetterti il lusso di non prestare troppa attenzione agli altri, ma concentrarti solo su te stesso – le cose possono sempre andare diversamente da quanto desideri. Un punto è un punto. Per il nostro obiettivo, per la nostra classifica, soprattutto perché ne togli due a loro. Essere umili non significa accontentarsi, ma riconoscere che ciò che stai guadagnando dalla produzione del tuo massimo, in quel momento ti porta a migliorare anche se non è tutto quello che ti aspettavi. Per me questo fa la differenza".
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