La situazione della Salernitana sul mercato delle cessioni rappresenta un caso di scuola sulle dinamiche più perverse del calcio moderno. Dopo la retrocessione in Serie C, il club granata si trova in una posizione contrattuale devastante, con una rosa sovradimensionata e stipendi fuori controllo che rendono quasi impossibili le operazioni in uscita.
Il paradosso della qualità nascosta
Non tutti i giocatori in rosa sono scarti. Giulio Maggiore e Domagoj Bradaric, per esempio, hanno dimostrato il loro valore nelle precedenti esperienze: il centrocampista ha convinto a Bari, mentre il croato si era fatto apprezzare per prestazioni e un gol salvezza pesantissimo. Eppure, anche questi elementi di qualità faticano a trovare sistemazione, vittime di un sistema contrattuale che li ha trasformati in prigionieri dorati di Salerno.
Gli stipendi da Champions per la Serie C
Il vero macigno sono gli ingaggi faraonici distribuiti con leggerezza negli anni scorsi. Luigi Sepe, 34 anni suonati, percepisce ancora un milione di euro netto: pensate davvero che un portiere a fine carriera rinunci a questa cifra o accetti una spalmatura su più anni? La matematica è spietata: quale club può permettersi simili follie? E Sepe è solo la punta dell'iceberg di una gestione salariale completamente fuori controllo.
La legge del mercato: chi ha fretta perde
Il problema più grave è strutturale: quando tutti sanno che devi vendere a ogni costo, il potere contrattuale crolla. I potenziali acquirenti si presentano al tavolo consapevoli di avere il coltello dalla parte del manico. Risultato? Nella migliore delle ipotesi, la Salernitana registrerà una sequela di minusvalenze che aggraveranno ulteriormente un bilancio già in rosso profondo. Nella peggiore, sarà costretta a contribuire agli stipendi dei giocatori ceduti, come accadde con Bonazzoli sotto la precedente gestione dirigenziale.
La strategia del bluff necessario
La ricetta per uscire da questo vicolo cieco è controintuitiva ma efficace: completare prima la squadra con gli acquisti indispensabili, senza mostrarsi ostaggio delle cessioni. Altrimenti si rischia di finire come chi arriva al mercato cinque minuti prima della chiusura: costretto a portarsi a casa le mele con qualche ammaccatura e le banane un po' troppo mature, pagandole comunque a prezzo pieno perché ormai è quello che resta. Nel calcio, questa "frutta di fine giornata" si traduce in esuberi di altre squadre, giocatori reduci da stagioni anonime o con qualche acciacco di troppo che tutti gli altri direttori sportivi hanno saggiamente evitato.
Aspettare gli ultimi giorni di agosto si rivela invece vantaggioso per vendere, quando la fretta di completare le rose costringerà i club interessati a venire a più miti consigli. È un gioco di nervi, ma rappresenta l'unica via d'uscita da una posizione contrattuale disastrosa.
Il ribaltone di gennaio: quando i ruoli si invertono
E se alcuni di questi calciatori dovessero rimanere a libro paga dei granata a mercato chiuso? La situazione si ribalterebbe completamente a gennaio. Nel mercato invernale i prezzi lievitano, le alternative disponibili sono poche e i club in difficoltà pagano fior di quattrini per puntellare le rose. A quel punto sarebbe la Salernitana ad avere il coltello dalla parte del manico, potendo finalmente dettare condizioni vantaggiose e recuperare con gli interessi l’esborso delle quattro mensilità elargite da settembre a dicembre. Del resto costringere qualche calciatore in esubero, artefice della recente disfatta, a bere l'amaro calice della Serie C, rappresenterebbe anche una giusta e meritata ricompensa a chi ha contribuito a determinare retrocessioni così umilianti con prestazioni inadeguate rispetto agli stipendi faraonici percepiti.
La lezione del Como e del Lecce
Dopo due mercati col freno a mano tirato che hanno portato a due retrocessioni consecutive, la morale è cristallina: l'investimento oculato è l'unica soluzione. Il Como di Fabregas ha dimostrato come si costruisce una squadra ambiziosa spendendo con criterio, mentre il Lecce di Corvino ha fatto scuola nel talent scouting, pescando sconosciuti e rivendendoli a peso d'oro mantenendo la categoria.
Daniele Faggiano conosce bene queste dinamiche e ha le competenze per muoversi con sagacia in acque così tempestose. Ora tocca al patron Iervolino, manager navigato, dimostrare di aver imparato dagli errori del passato e dare fiducia totale al suo direttore sportivo. Le ultime due retrocessioni consecutive, figlie di mercati asfittici, hanno confermato l'antico adagio: "chi meno spende più spende". Perché risparmiare sui cartellini in estate significa poi pagare a caro prezzo con retrocessioni, minusvalenze e il crollo del valore patrimoniale dell'intera rosa.
Per concludere chiediamo cosa intenda il neo presidente Milan quando dice "non partecipiamo alle aste": lo sa che la concorrenza è inevitabile quando si tratta di giocatori bravi, appetibili sul mercato?
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