Per tanti è il "professore di Saviano". Per i tifosi della Salernitana è un uomo che ha lasciato il segno a prescindere dai risultati. Figlio di un calcio che non c'è più, Gianni Simonelli si è raccontato in un'intervista:
Quanto è difficile per un tecnico guidare una rosa tutta nuova e quanto tempo ci vuole per riuscire a trasmettere le proprie idee?
"Se un tecnico è fortemente convinto di quello che propone non ci sono problemi. Il mito del tempo è alibi diffuso"
Mercato: gente di categoria e giovani di prospettiva. E' mancato il "colpo", scelta corretta?
"Non esiste giusto o sbagliato, in ogni dimensione della nostra esistenza e dunque anche nel calcio. Non mi concentrerei sul cosiddetto colpo ad effetto, ma sulla funzionalità dei giocatori rispetto alle richieste del mister. Se le caratteristiche combaciano con le idee del tecnico vedrete che i giocatori saranno molto più utili rispetto a quelli di nome che spesso fanno fatica".
Raffaele fautore di un calcio offensivo e di qualità. La Salernitana però ha l'obbligo di vincere. Come si coniugano i due aspetti?
"E' ovvio che bisogna seguire i dettami del tecnico, ma impegno e determinazione sono le caratteristiche che servono per vincere i campionati e che non sostituiranno mai moduli e sistemi di gioco. L'opera del mister è fondamentale dal punto di vista emotivo, bisogna essere anzitutto leader. Raffaele dovrà far capire di essere pronto a morire, metaforicamente, per le proprie idee: se sei te stesso diventi credibile e il gruppo ti segue, identificandoti come condottiero. Io la chiamo "fermezza compassionevole": serenità, comprensione, ma tenendo fede alla propria proposta tecnica".
Dalla A alla C. Iervolino non parla alla piazza pur essendo artefice del biennio horror. Un errore?
"Meno parla, meglio è. Chi crede improvvisamente di sapere tutto del calcio sbaglia. Vale per tutti i presidenti. Bisogna far parlare gente preposta, nel rispetto dei ruoli. Mi viene in mente Franco Del Mese, uomo vero prestato allo sport. Gentile, umile, mai invadente, sempre dalla parte dei ragazzi".
4500 abbonamenti venduti, ma tifosi delusi. In più il no alle trasferte. Quanto perde la Salernitana giocando senza pubblico?
"Si potrebbero deresponsabilizzare i calciatori, ma non è detto sia per forza un male. In questo modo si avvertirebbero meno pressioni, una piazza come Salerno non è facile per nessuno. Partire con poca gente allo stadio può essere paradossalmente un aspetto positivo".
Lei ha vissuto l'epoca d'oro del calcio: cosa pensa quando vede VAR, FVS e tiki-taka?
"La costruzione dal basso mi fa un effetto particolare: inizio a vedere la partita sul divano e dopo 10 minuti dormo e russo nel letto. Imitare pedissequamente e a prescindere non comporta nessuna crescita del sistema e non è nè credibile. Quanto alla tecnologia, non c'è un valore definito di giustizia. Chi ha introdotto il VAR era convinto di agire correttamente, ma non c'è sempre una verità assoluta"
Un suo ricordo dell'esperienza a Salerno?
"La prima volta che attraversai il tunnel dell'Arechi per arrivare in campo, coppa Italia contro il Padova, mi ritrovai a cospetto di quella struttura immensa e provai terrore. Mi sentivo inadeguato come non mai nella mia vita. Una sensazione che mi ha accompagnato per tutta l'esperienza di Salerno. Non ero pronto per quel tipo di pressioni. Ero un allenatore giovane, che aveva fatto discretamente ma su campetti di provincia. Andai nel panico, solo immaginare quello stadio pieno mi mise i brividi. Ripetevo nella mia mente: "Non ce la posso fare". Recitai la parte dell'allenatore, cercavo di coprire le mie carenze e i miei vuoti con il mio essere un po' filosofo e un po' intellettuale. Ma non ero me stesso. Nelle prime 7 partite conquistammo 5 vittorie e 2 pareggi. C'era un entusiasmo, ma la paura non mi abbandonava. Lì ho capito cosa voglia dire operare in una grande piazza. Successivamente andai a Taranto e Catania e fui pronto. La Salernitana è stata un insegnamento".
Al "professore di Saviano" manca il campo?
"Molto, soprattutto in questo periodo. Quanto al soprannome, mi sentivo professore perchè avvertivo l'esigenza di insegnare calcio e questo mi riusciva bene. Sono stato un ottimo maestro, ma questo aspetto non basta per raggiungere i risultati. La gestione delle emozioni fa la differenza".
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