Che Michael Liguori avesse talento da vendere lo sapevamo già tutti. Che Daniele Faggiano ci avesse scommesso sopra quest'estate, strappandolo al Padova tra discussioni, veleni e una telenovela di mercato degna del peggior cinema d'autore, pure. Ma così, proprio così, sotto la Curva Sud Siberiano, con quella rabbia e quella liberazione, con quel gesto istintivo di togliersi la maglia come a voler dire "ecco, questo sono io", no, questo nessuno se lo aspettava.
Riavvolgiamo per un attimo il nastro di questa stagione granata, quella Serie C che brucia come la gramigna ma che qualcuno a Salerno ha avuto il coraggio di chiamare "occasione di riscatto". Michael Liguori è arrivato il 7 agosto con un contratto fino al 2026 e l'etichetta scomoda della "scommessa": 18 gol e 13 assist nelle ultime due stagioni, ma anche quell'alone di fragilità che aleggiava attorno a lui come un'ombra troppo lunga. Faggiano ci ha creduto, dicendo a tutti "mi fido di lui", come un padre che difende il figlio anche quando il mondo gli volta le spalle.
Poi è arrivato il 17 settembre, quel maledetto giorno in cui la risonanza magnetica ha sputato fuori la sentenza: lesione muscolare di basso grado al bicipite femorale sinistro. Due settimane di stop, hanno detto. Ma le due settimane sono diventate tre, poi quattro, poi un mese intero in cui Liguori sembrava un fantasma, presente ma invisibile, convocato ma mai pronto, come quei calciatori che vivono nel limbo tra l'infermeria e la panchina. A metà settembre aveva già accusato un affaticamento muscolare prima della gara col Sorrento, tanto che Raffaele aveva dovuto spiegare: "Prima del match ha fatto una sorta di provino, la situazione non era tranquillissima e non era sensato rischiare".
E mentre lui stava lì, a masticare amaro e a guardare i compagni vincere derby su derby, Salerno si chiedeva: ma questo Liguori esiste davvero? O è solo l'ennesima promessa che il mercato ci ha regalato, destinata a finire nel dimenticatoio come tante altre? Il dubbio era lecito, perché in questa città le delusioni pesano il doppio e la pazienza dura quanto un giro di orologio.
Poi è arrivata la serata di sabato 26 ottobre, quella del derby contro la Casertana, quella in cui l'Arechi si è vestito di rosso e di passione con una coreografia che nemmeno allo stadio Maracanà. Raffaele lo ha messo titolare, una scelta coraggiosa quanto necessaria, perché in una squadra che deve vincere per forza non c'è spazio per i tentennamenti. E Liguori ha risposto presente, nella ripresa, con un gol che vale più di tre punti: una rete che ha sbloccato una partita ingessata, nervosa, cattiva come solo i derby sanno essere.
L'esultanza è stata un urlo primordiale, una liberazione che partiva da dentro, da quelle settimane passate a masticare rabbia e frustrazione. Si è tolto la maglia, ha rimediato un giallo che gli è pesato quanto una piuma, e si è buttato sotto quella Curva Sud che fino ad allora lo aveva visto solo da lontano. "In quel momento non mi importava del giallo, ma del gol che è arrivato davanti a questi tifosi che, nonostante tutto, hanno sempre creduto in me", ha detto dopo. E qui sta il punto: nonostante tutto. Nonostante l'infortunio, nonostante le chiacchiere, nonostante i dubbi. Salerno non perdona facilmente, ma quando ti dà fiducia, te la dà tutta, senza mezze misure.
Raffaele, nel dopo-gara, ha pronunciato una frase che suona come un verdetto: "Michael ha iniziato praticamente il suo campionato oggi". Una frase che è insieme una sentenza e una promessa. Perché se è vero che fino ad ora Liguori è stato poco più di un'ombra, è altrettanto vero che da adesso in poi tutto può cambiare. La versatilità c'è: può fare l'esterno, può accentrarsi, può creare superiorità numerica negli ultimi metri. La qualità pure. Quello che mancava era la continuità, quella benedetta continuità che in Serie C fa la differenza tra chi vince e chi affoga.
Adesso il banco di prova sarà la trasferta di Latina, poi chissà. Quello che è certo è che sabato sera, sotto quella Curva Sud che ha fatto tremare l'Arechi, Michael Liguori ha ricominciato a esistere. Non più una scommessa, non più un punto interrogativo, ma un calciatore che ha guardato negli occhi i suoi demoni e li ha sbattuti in rete. Faggiano avrà sorriso dalla tribuna, Raffaele avrà tirato un sospiro di sollievo, e i quattordicimila dell'Arechi avranno capito che forse, sì, forse questa volta la scommessa l'avevamo vinta davvero.
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